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Locazione e morosità, un caso emblematico
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<blockquote data-quote="Pennylove" data-source="post: 420057" data-attributes="member: 31598"><p>Al quesito posto non può che darsi una risposta articolata. E’ chiaro che solo il tuo parente può sapere quale sia la via più proficua al fine della realizzazione del proprio interesse. Qualora egli non dichiari di valersi della clausola risolutiva (da quanto capisco non ancora formalizzata), in presenza dell’inadempimento della sua controparte, si danno tre possibilità:</p><p></p><p>a) tolleranza, qualora confidi che la società in questione continui a adempiere, seppure tardivamente;</p><p></p><p>b) richiesta di adempimento, qualora ritenga maggiormente proficuo per lui tenere fermo il contratto;</p><p></p><p>c) richiesta di risoluzione, art. 1453, co. 1 cod. civ., nel caso sia trascorso uno spazio di tempo rilevante, a partire dal momento in cui si è verificato l‘inadempimento.</p><p></p><p>Che cosa accade, invece, di fronte all’inerzia del locatore, qualora l’inadempimento assuma caratteristiche temporali tali da legittimare l’operatività della clausola risolutiva (non è stabilito un termine entro cui inviare la dichiarazione di avvalersi di detta clausola)?</p><p></p><p>Nell’ipotesi in cui il silenzio del creditore e l’inadempimento del debitore si protraggano a lungo, l’attesa del creditore è da intendersi quale tolleranza del ritardo oppure il creditore ha comunque interesse a invocare la clausola risolutiva e a liberarsi del rapporto? Secondo l’orientamento prevalente, ove il debitore si opponga alla risoluzione di diritto, in forza dell’atteggiamento tollerante del creditore che implicitamente avrebbe rinunciato ad avvalersi della clausola in parola, il giudice valuterà quale interesse debba prevalere, tenuto conto delle singole posizioni sostanziali. Si tratta, appunto, di sondare le (vere) intenzioni dei contraenti, risolvendo la <em>quaestio voluntatis </em>della massima di legittimità sopra richiamata.</p><p></p><p>Tolleranza del creditore non dovrebbe – come osservato - significare inequivocabilmente rinuncia ad avvalersi della clausola, ma in giurisprudenza si afferma, al contrario, che il creditore non può avvalersi della clausola risolutiva espressa se, di fronte all’inadempimento del debitore, ha mostrato un atteggiamento inerte tale da ingenerare nell’altra parte il legittimo affidamento sulla sua volontà di non sciogliere il vincolo contrattuale. In sostanza, il debitore non può rimanere in questo stato di incertezza in eterno, in caso contrario si vedrebbe costretto ad eseguire la prestazione molto tempo dopo il momento in cui si è verificato l’inadempimento, tanto da potersi ritenere che, nel frattempo, il creditore abbia perso interesse all’adempimento e agli effetti propri della clausola risolutiva (altrimenti si sarebbe attivato).</p><p></p><p>Se il creditore aveva interesse a mantenere il rapporto, avrebbe potuto concedere al debitore una dilazione, fissando un nuovo termine per l’adempimento dell’obbligazione originariamente pattuita, ma solo anteriormente alla data di scadenza. Non solo. In giurisprudenza si afferma che la dichiarazione della parte risolvente di volersi avvalere della clausola risolutiva, resa dopo il pur tardivo adempimento dell’obbligazione, non produce la risoluzione di diritto, in sostanza, è priva di efficacia, con la conseguenza che il giudice di merito, deve, a questo punto, pesare la gravità dello specifico inadempimento, previsto dalla clausola risolutiva inoperante, al fine di stabilire se - ai sensi dell’art. 1455 cod. civ. (<em>Importanza dell’inadempimento</em>), non sussistendo nei contratti ad uso diverso dall’abitazione il criterio di gravità normativamente predeterminato (venti giorni dalla scadenza prevista) e la possibilità di concedere il termine di grazia, previsti dal disposto degli artt. 5 e 55 della legge n°392/1978 - il contratto si possa o meno risolvere.</p><p></p><p>I giudici ragionano secondo questo schema: se il creditore ha interesse alla risoluzione, dichiarerà in breve tempo di volersi avvalere della clausola risolutiva, stante l’inadempimento della controparte; in caso contrario (e cioè, se il creditore fa passare molto tempo senza chiedere la risoluzione), è ragionevole ritenere che egli non sia più interessato né all’esecuzione né allo scioglimento del rapporto. Ecco che ritorna il problema della tolleranza del creditore e dell’affidamento del debitore: concetti che non possono essere avulsi dalla concreta vicenda negoziale, perché solo analizzando essa in dettaglio (e solo un giudice può farlo) è possibile determinare – in virtù del principio di ragionevolezza, che trova il suo fondamento nelle regole di buona fede – l’esistenza e la rilevanza dei contrapposti interessi contrattuali.</p><p></p><p>Se il creditore intende mutare la forma di garanzia dell'adempimento del contratto (cartina d tornasole che svela l’intenzione del creditore di mantenere in vita il rapporto) può ratificare tale accordo che va a modificare la convenzione locativa originaria prevedendo la redazione di una scrittura privata modificativa che faccia riferimento all’atto registrato. Tale scrittura privata sottoscritta dalle parti ha valenza legale. La registrazione ufficializza la modifica apportata al documento contrattuale originario, dà data certa all’atto e lo rende opponibile nei confronti di terzi. Gli atti integrativi o di modifica di locazione scontano l’imposta di registro in misura fissa pari a € 67,00 oltre l’imposta di bollo sull’atto portato in registrazione.</p><p></p><p>Come vedi, lo scrivere mi prende la mano. Perdonami per questo lungo post. Insomma, queste (scombinate) parole per dire semplicemente che l’istituto in questione va maneggiato con cautela, avvalendosi di un buon legale, e, se avessi capito poco di quello che ho scritto, non ne sarei affatto sorpresa. </p><p></p><p>Penny<img src="/styles/default/xenforo/smilies.emoji/symbols/heartbeat.emoji.svg" class="smilie" loading="lazy" alt=":amore:" title="Love :amore:" data-shortname=":amore:" /></p></blockquote><p></p>
[QUOTE="Pennylove, post: 420057, member: 31598"] Al quesito posto non può che darsi una risposta articolata. E’ chiaro che solo il tuo parente può sapere quale sia la via più proficua al fine della realizzazione del proprio interesse. Qualora egli non dichiari di valersi della clausola risolutiva (da quanto capisco non ancora formalizzata), in presenza dell’inadempimento della sua controparte, si danno tre possibilità: a) tolleranza, qualora confidi che la società in questione continui a adempiere, seppure tardivamente; b) richiesta di adempimento, qualora ritenga maggiormente proficuo per lui tenere fermo il contratto; c) richiesta di risoluzione, art. 1453, co. 1 cod. civ., nel caso sia trascorso uno spazio di tempo rilevante, a partire dal momento in cui si è verificato l‘inadempimento. Che cosa accade, invece, di fronte all’inerzia del locatore, qualora l’inadempimento assuma caratteristiche temporali tali da legittimare l’operatività della clausola risolutiva (non è stabilito un termine entro cui inviare la dichiarazione di avvalersi di detta clausola)? Nell’ipotesi in cui il silenzio del creditore e l’inadempimento del debitore si protraggano a lungo, l’attesa del creditore è da intendersi quale tolleranza del ritardo oppure il creditore ha comunque interesse a invocare la clausola risolutiva e a liberarsi del rapporto? Secondo l’orientamento prevalente, ove il debitore si opponga alla risoluzione di diritto, in forza dell’atteggiamento tollerante del creditore che implicitamente avrebbe rinunciato ad avvalersi della clausola in parola, il giudice valuterà quale interesse debba prevalere, tenuto conto delle singole posizioni sostanziali. Si tratta, appunto, di sondare le (vere) intenzioni dei contraenti, risolvendo la [I]quaestio voluntatis [/I]della massima di legittimità sopra richiamata. Tolleranza del creditore non dovrebbe – come osservato - significare inequivocabilmente rinuncia ad avvalersi della clausola, ma in giurisprudenza si afferma, al contrario, che il creditore non può avvalersi della clausola risolutiva espressa se, di fronte all’inadempimento del debitore, ha mostrato un atteggiamento inerte tale da ingenerare nell’altra parte il legittimo affidamento sulla sua volontà di non sciogliere il vincolo contrattuale. In sostanza, il debitore non può rimanere in questo stato di incertezza in eterno, in caso contrario si vedrebbe costretto ad eseguire la prestazione molto tempo dopo il momento in cui si è verificato l’inadempimento, tanto da potersi ritenere che, nel frattempo, il creditore abbia perso interesse all’adempimento e agli effetti propri della clausola risolutiva (altrimenti si sarebbe attivato). Se il creditore aveva interesse a mantenere il rapporto, avrebbe potuto concedere al debitore una dilazione, fissando un nuovo termine per l’adempimento dell’obbligazione originariamente pattuita, ma solo anteriormente alla data di scadenza. Non solo. In giurisprudenza si afferma che la dichiarazione della parte risolvente di volersi avvalere della clausola risolutiva, resa dopo il pur tardivo adempimento dell’obbligazione, non produce la risoluzione di diritto, in sostanza, è priva di efficacia, con la conseguenza che il giudice di merito, deve, a questo punto, pesare la gravità dello specifico inadempimento, previsto dalla clausola risolutiva inoperante, al fine di stabilire se - ai sensi dell’art. 1455 cod. civ. ([I]Importanza dell’inadempimento[/I]), non sussistendo nei contratti ad uso diverso dall’abitazione il criterio di gravità normativamente predeterminato (venti giorni dalla scadenza prevista) e la possibilità di concedere il termine di grazia, previsti dal disposto degli artt. 5 e 55 della legge n°392/1978 - il contratto si possa o meno risolvere. I giudici ragionano secondo questo schema: se il creditore ha interesse alla risoluzione, dichiarerà in breve tempo di volersi avvalere della clausola risolutiva, stante l’inadempimento della controparte; in caso contrario (e cioè, se il creditore fa passare molto tempo senza chiedere la risoluzione), è ragionevole ritenere che egli non sia più interessato né all’esecuzione né allo scioglimento del rapporto. Ecco che ritorna il problema della tolleranza del creditore e dell’affidamento del debitore: concetti che non possono essere avulsi dalla concreta vicenda negoziale, perché solo analizzando essa in dettaglio (e solo un giudice può farlo) è possibile determinare – in virtù del principio di ragionevolezza, che trova il suo fondamento nelle regole di buona fede – l’esistenza e la rilevanza dei contrapposti interessi contrattuali. Se il creditore intende mutare la forma di garanzia dell'adempimento del contratto (cartina d tornasole che svela l’intenzione del creditore di mantenere in vita il rapporto) può ratificare tale accordo che va a modificare la convenzione locativa originaria prevedendo la redazione di una scrittura privata modificativa che faccia riferimento all’atto registrato. Tale scrittura privata sottoscritta dalle parti ha valenza legale. La registrazione ufficializza la modifica apportata al documento contrattuale originario, dà data certa all’atto e lo rende opponibile nei confronti di terzi. Gli atti integrativi o di modifica di locazione scontano l’imposta di registro in misura fissa pari a € 67,00 oltre l’imposta di bollo sull’atto portato in registrazione. Come vedi, lo scrivere mi prende la mano. Perdonami per questo lungo post. Insomma, queste (scombinate) parole per dire semplicemente che l’istituto in questione va maneggiato con cautela, avvalendosi di un buon legale, e, se avessi capito poco di quello che ho scritto, non ne sarei affatto sorpresa. Penny:amore: [/QUOTE]
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