A proposito dell'ultima affermazione di Giorgino, che condivido in pieno, vi allego un articolo che trovo molto centrato di Pelliccioli:
Il giornalista inpertinente
L'editoriale di Guglielmo Pelliccioli | Italia
I più attenti di voi certamente avranno colto al volo l’errore: “Guarda, caro Pelliccioli, che si scrive impertinente e non inpertinente”. Vi giuro che l’ho fatto apposta. E spiego il perchè!
La differenza tra impertinente e inpertinente non sta tanto in quella diversa consonante ma proprio nel significato del termine: impertinente è colui che si atteggia in modo sfacciato, arrogante, insolente, irriverente mentre in-pertinente è semplicemente chi non è pertinente cioè non ha conoscenza di una tale cosa o di un certo argomento.
Chi sono allora i giornalisti inpertinenti? Tutti coloro che scrivono un pezzo senza conoscere bene i contenuti e i contorni reali, limitandosi a descrivere gli aspetti più evidenti o superficiali. Quelli insomma che la notizia la prendono per quella che sembra e non per quella che è o dovrebbe essere. Essi non sono in cattiva fede: solo non approfondiscono, preferiscono fermarsi alla superficie, agli aspetti più esteriori e grossolani senza curarsi di ricercare le ragioni e le motivazioni di fondo, in altre parole di documentarsi.
Abbiamo la sensazione di trovarci davanti a giornalisti inpertinenti ogni volta che leggiamo sui giornali, o vediamo alla tv, notizie che riguardano il real estate e vengono trattate, non dai soliti nomi addetti ai lavori, ma da colleghi che impattano, per ragioni di servizio, nel settore immobiliare.
Il risultato è che gli articoli risentono di questa improvvisazione e i contenuti forniscono informazioni quanto meno lacunose e non obiettive.
Si dirà: colpa della fretta di chiudere il giornale, del contesto che sembra interessare i lettori più dell' approfondimento, delle regole pressapochistiche del giornalismo quotidiano che non possono andare troppo di fino, del fatto, infine, che il giornalista per sapere un po’ di tutto finisce per non sapere quasi niente.
Mille giustificazioni per un risultato comunque di cattivo servizio verso il pubblico dei lettori.
Da troppo tempo il real estate trova spazio sui giornali per fatti commiserevoli di speculazione, corruzione, malaffare: sulla stampa c’è spazio solo per queste vicende sia pure gravissime e da evidenziare. La costruzione di un palazzo, l’inaugurazione di un recupero urbanistico, il completamento di un nuovo quartiere non fanno notizia.
Siamo d’accordo: questa è la normalità. Ai lettori bisogna raccontare lo scandalo, l’intrallazzo politico-imprenditoriale, il consumo del territorio, la cosiddetta cementificazione selvaggia.
A nessuno (sembra) interessi che le case devono essere costruite senza materiali inquinanti, che il verde nelle città debba aumentare con i nuovi insediamenti (a Milano negli ultimi dieci anni è raddoppiato), che un vecchio edificio o una caserma abbandonati non sono cimeli ma ruderi in cui si insinua una popolazione quanto meno di disperati.
Per i giornal, ad esempio, non è una notizia degna di menzione il fatto che le banche abbiano smesso di finanziare gli extracomunitari intenzionati ( erano quasi un terzo dei mutuatari fino al 2009) ad acquistare casa, creando migliaia e migliaia di situazioni di disagio socialmente pericoloso.
La notizia di un terreno bloccato dall’Arpa perchè inquinato finisce per rimanere fine a se stessa con il suo effetto scandalistico; non interessa ai giornalisti indagare su come fare la bonifica e in quanto tempo; si concentrano solo su chi è stato, quanto ci ha guadagnato, come ha fatto e con la complicità di chi.
Milano è piena di arre non finite per problemi di inquinamento, di fondi bloccati alle imprese, di inchieste della magistratura: come si può andare avanti? chi sostiene le ragioni di quanti hanno acquistato in questi posti e ora sono in una specie di terra di nessuno? anche questa sarebbe una buona causa per giornalisti coraggiosi e attenti ai problemi della città.
Migliaia di piccole imprese edili stanno morendo per problemi legati al mercato, alla crisi, ai finanziamenti, ai blocchi amministrativi, ai contenziosi vari: anche questo però non fa notizia, occorrerebbe impegnarsi troppo per far emergere i veri problemi. Meglio aspettare che il titolare si butti da un ponte: allora via con la cronaca, il pezzo di commento del sociologo, la lamentazione collettiva. Fare del giornalismo di inchiesta ‘prima che i fatti accadano’, invece no: troppo difficile, troppo tempo da dedicarci, troppe persone da sentire, troppi fatti su cui documentarsi a fondo. Meglio aspettare il morto. È più facile scriverne!
Sono nato in un quartiere popolare. A casa mia non c’erano i bagni, men che meno gli ascensori (centoquattro gradini per arrivare al quarto piano), il riscaldamento. Per una coincidenza ho potuto rivedere, poco tempo fa, queste case. In tutte sono stati ricavati dei bagni con vasca o doccia, è stato installato un ascensore piccolo ma funzionante per la gioia delle personae anziane che stanno all’ultimo piano; il riscaldamento, magari non centralizzato, c’è in ogni appartamento. Al piano terra dove prima c’erano dei magazzini inutili oggi sono stati ricavati dei box per le auto.
Beh i miei genitori sarebbero stati felici di abitare in queste case funzionali, servite, riscaldate.
Domani, mi spiegavano i rappresentanti della cooperativa che gestisce questi palazzi, forse verranno demoliti per riedificarli ancora più moderni e adatti alla residenza. Servirà un’impresa che si faccia carico di tutto, compresa una sistemazione, per il tempo dei lavori, degli attuali inquilini-soci che, negli anni, hanno messo da parte i fondi per pagare tutta la nuova iniziativa immobiliare. Una bella storia, pulita, onesta. Chissà se ad un giornalista potrà mai interessare raccontare come un centinaio di famiglie hanno interpretato da manuale il real estate.