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<blockquote data-quote="Pennylove" data-source="post: 408611" data-attributes="member: 31598"><p>Il quesito proposto (“<em>E’ consentito aumentare il canone di locazione commerciale in corso di rapporto?</em>”) è interessante. Sul versante tributario gli uffici delle Entrate, in genere, accettano la registrazione di modifiche del canone di locazione: in caso di riduzione del canone nulla ora è più dovuto, ma in caso di aumento, in corso di rapporto, l’imposta di registro è sempre dovuta: andrà portata in registrazione la scrittura privata bollata con il modello 69 e pagata la differenza dell’imposta, con un minimo di 67 euro, in quanto trattasi di imposta "complementare" di registro e non di imposta "principale" (secondo orientamento prevalente in Agenzia). Sotto il profilo civilistico, il discorso, invce, cambia. E di molto. Sul tema si segnalano oscillanti orientamenti giurisprudenziali che si giustificano per la difficoltà di interpretare attendibilmente un residuo normativo di oltre trent’anni fa: mi riferisco all’art. 79 della legge sul c.d. equo canone.</p><p></p><p>Detto articolo, come noto, è rimasto ancora in piedi (l’art. 14, co. 4 dell’ultima legge di riforma, al calare del 1998, ha abrogato, in modo singolare, solamente la sua applicazione ai contratti con destinazione abitativa): “<em>E’ nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge</em>” (comma 1). “<em>Il conduttore, con azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna ell’immobile locato, può ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge”</em> (comma 2).</p><p></p><p>L’iniziale tesi permissiva di una parte della giurisprudenza, che riteneva che le convenzioni, stipulate in corso di rapporto commerciale, che prevedevano aumenti del canone rispetto a quello iniziale, non dovessero essere affette da nullità (Cass. n°11402/1993), è stata in seguito contestata dalla giurisprudenza e dottrina prevalente.</p><p></p><p>Se l’aumento in questione non è stato previsto strutturalmente a contratto (c.d. canone scalettato) con solide motivazioni giustificative, ciò che può essere lecito, ove tale pattuizione venga stipulata con il contratto originario, ossia in sede di stipula di un contratto ad uso diverso dall’abitazione, diviene illecito (e, quindi, nullo), se pattuito nel corso del rapporto: una volta che la misura del canone è stato stabilita, non può subire variazioni in aumento (solo la diminuizione del canone è consentita, in quanto patto più favorevole per l’inquilino ovvero la stipulazione di un nuovo contratto di locazione con relativo nuovo canone) per contrasto con l’art. 32, co. 2 della legge sull’equo canone (il canone di locazione non può subire variazioni in aumento se non nella misura del 75% dell’ISTAT, salvo il caso in cui la durata della locazione sia superiore a sei anni (100% ISTAT).</p><p></p><p>La Suprema Corte (a partire da Cass. n°10286/2001) ha focalizzato la sua attenzione sul secondo comma dell’art. 79, concludendo che “<em>se il diritto in esame può essere fatto valere dopo la riconsegna dell’immobile, non è sostenibile che di esso possa disporre il conduttore in corso di rapporto, accettando aumenti non dovuti,: la validità di una rinuncia espressa o tacita del conduttore ad avvalersi del diritto a non subire aumenti non dovuti, eventualmente intervenuta in corso di rapporto, appare infatti inconciliabile con la facoltà, attribuita al conduttore, di ripetere</em> “<em>le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge”” </em>entro sei mesi dalla riconsegna dell’immobile.</p><p></p><p>Tale orientamento restrittivo è stato confermato da altre successive decisioni della Cassazione, tanto da far ritenere ormai consolidato l’indirizzo per cui il canone inizialmente convenuto non sarebbe suscettibile di aumenti in corso di locazione, salvo l’aggiornamento ISTAT.</p><p></p><p>Tutto chiarito, direte voi. Niente affatto. Due anni fa la Cassazione (n°17322) è intervenuta a contrastare l’indirizzo maggioritario, sparigliando di nuovo le carte con una interessantissima pronuncia su un contratto soggetto ad equo canone (quindi determinato non liberamente, ma per legge!): “<em>La nullità dei patti contrari alle disposizioni imperative della legge n. 392 del 1978, sanzionata dall’art. 79 della stessa legge, si riferisce alle soli convenzioni tendenti ad escludere preventivamente i diritti del conduttore e non anche alla disposizione di tali diritti effettuata in corso di rapporto</em>”, sull’onda di precedenti sentenze favorevoli, qualora si versi in ipotesi di transazioni volontarie, ossia quelle pattuizioni, in deroga a disposizioni imperative, che, se pure stipulate nel corso del rapporto, hanno carattere transattivo, ossia prevedono reciproci vantaggi conseguiti da entrambe le parti, come sembrerebbe di capire nel caso di specie: i vantaggi conseguiti dal locatore (aumento del canone di locazione) – ancorché in contrasto con le disposizioni di legge – in quanto giustificati da corrispondenti vantaggi a favore del conduttore (ampliamento del capannone e conseguente sviluppo della sua attività commerciale), divengono leciti, e la transazione raggiunta (altrimenti nulla), valida (Cass. n°11947/2010).</p><p></p><p>Come si vede, il percorso interpretativo è tutt’altro che semplice per la mancanza di una regola precisa e chiara, e ciò giustifica la varietà delle decisioni sul punto ed il non univoco orientamento dei giudici.</p><p></p><p>Pertanto nell’insicurezza della regola (unica regola sicura in Italia <img src="/styles/default/xenforo/smilies.emoji/people/grin.emoji.svg" class="smilie" loading="lazy" alt=":sorrisone:" title="Sorrisone :sorrisone:" data-shortname=":sorrisone:" />), un atteggiamento prudenziale consiglierebbe di chiudere consensualmente il rapporto in essere e di stipulare un nuovo contratto, con relativo nuovo canone.</p></blockquote><p></p>
[QUOTE="Pennylove, post: 408611, member: 31598"] Il quesito proposto (“[I]E’ consentito aumentare il canone di locazione commerciale in corso di rapporto?[/I]”) è interessante. Sul versante tributario gli uffici delle Entrate, in genere, accettano la registrazione di modifiche del canone di locazione: in caso di riduzione del canone nulla ora è più dovuto, ma in caso di aumento, in corso di rapporto, l’imposta di registro è sempre dovuta: andrà portata in registrazione la scrittura privata bollata con il modello 69 e pagata la differenza dell’imposta, con un minimo di 67 euro, in quanto trattasi di imposta "complementare" di registro e non di imposta "principale" (secondo orientamento prevalente in Agenzia). Sotto il profilo civilistico, il discorso, invce, cambia. E di molto. Sul tema si segnalano oscillanti orientamenti giurisprudenziali che si giustificano per la difficoltà di interpretare attendibilmente un residuo normativo di oltre trent’anni fa: mi riferisco all’art. 79 della legge sul c.d. equo canone. Detto articolo, come noto, è rimasto ancora in piedi (l’art. 14, co. 4 dell’ultima legge di riforma, al calare del 1998, ha abrogato, in modo singolare, solamente la sua applicazione ai contratti con destinazione abitativa): “[I]E’ nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge[/I]” (comma 1). “[I]Il conduttore, con azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna ell’immobile locato, può ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge”[/I] (comma 2). L’iniziale tesi permissiva di una parte della giurisprudenza, che riteneva che le convenzioni, stipulate in corso di rapporto commerciale, che prevedevano aumenti del canone rispetto a quello iniziale, non dovessero essere affette da nullità (Cass. n°11402/1993), è stata in seguito contestata dalla giurisprudenza e dottrina prevalente. Se l’aumento in questione non è stato previsto strutturalmente a contratto (c.d. canone scalettato) con solide motivazioni giustificative, ciò che può essere lecito, ove tale pattuizione venga stipulata con il contratto originario, ossia in sede di stipula di un contratto ad uso diverso dall’abitazione, diviene illecito (e, quindi, nullo), se pattuito nel corso del rapporto: una volta che la misura del canone è stato stabilita, non può subire variazioni in aumento (solo la diminuizione del canone è consentita, in quanto patto più favorevole per l’inquilino ovvero la stipulazione di un nuovo contratto di locazione con relativo nuovo canone) per contrasto con l’art. 32, co. 2 della legge sull’equo canone (il canone di locazione non può subire variazioni in aumento se non nella misura del 75% dell’ISTAT, salvo il caso in cui la durata della locazione sia superiore a sei anni (100% ISTAT). La Suprema Corte (a partire da Cass. n°10286/2001) ha focalizzato la sua attenzione sul secondo comma dell’art. 79, concludendo che “[I]se il diritto in esame può essere fatto valere dopo la riconsegna dell’immobile, non è sostenibile che di esso possa disporre il conduttore in corso di rapporto, accettando aumenti non dovuti,: la validità di una rinuncia espressa o tacita del conduttore ad avvalersi del diritto a non subire aumenti non dovuti, eventualmente intervenuta in corso di rapporto, appare infatti inconciliabile con la facoltà, attribuita al conduttore, di ripetere[/I] “[I]le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge”” [/I]entro sei mesi dalla riconsegna dell’immobile. Tale orientamento restrittivo è stato confermato da altre successive decisioni della Cassazione, tanto da far ritenere ormai consolidato l’indirizzo per cui il canone inizialmente convenuto non sarebbe suscettibile di aumenti in corso di locazione, salvo l’aggiornamento ISTAT. Tutto chiarito, direte voi. Niente affatto. Due anni fa la Cassazione (n°17322) è intervenuta a contrastare l’indirizzo maggioritario, sparigliando di nuovo le carte con una interessantissima pronuncia su un contratto soggetto ad equo canone (quindi determinato non liberamente, ma per legge!): “[I]La nullità dei patti contrari alle disposizioni imperative della legge n. 392 del 1978, sanzionata dall’art. 79 della stessa legge, si riferisce alle soli convenzioni tendenti ad escludere preventivamente i diritti del conduttore e non anche alla disposizione di tali diritti effettuata in corso di rapporto[/I]”, sull’onda di precedenti sentenze favorevoli, qualora si versi in ipotesi di transazioni volontarie, ossia quelle pattuizioni, in deroga a disposizioni imperative, che, se pure stipulate nel corso del rapporto, hanno carattere transattivo, ossia prevedono reciproci vantaggi conseguiti da entrambe le parti, come sembrerebbe di capire nel caso di specie: i vantaggi conseguiti dal locatore (aumento del canone di locazione) – ancorché in contrasto con le disposizioni di legge – in quanto giustificati da corrispondenti vantaggi a favore del conduttore (ampliamento del capannone e conseguente sviluppo della sua attività commerciale), divengono leciti, e la transazione raggiunta (altrimenti nulla), valida (Cass. n°11947/2010). Come si vede, il percorso interpretativo è tutt’altro che semplice per la mancanza di una regola precisa e chiara, e ciò giustifica la varietà delle decisioni sul punto ed il non univoco orientamento dei giudici. Pertanto nell’insicurezza della regola (unica regola sicura in Italia :mrgreen:), un atteggiamento prudenziale consiglierebbe di chiudere consensualmente il rapporto in essere e di stipulare un nuovo contratto, con relativo nuovo canone. [/QUOTE]
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