Carlo Garbuio

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Agente Immobiliare
Un paese dove per il fisco gli immobili valgono un terzo, dove i proprietari hanno un'età media decisamente avanzata e dove l'evasione fiscale sugli affitti è una consolidata abitudine. Ma anche un paese dove le differenze di spazio abitativo a disposizione sono enormi, da 80 a 52 metri quadrati per abitante a seconda che si risieda in un paesino o in città.
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Sono solo alcuni dei dati nuovi emersi dall'analisi, giunta alla sua seconda edizione, dello studio «Gli immobili in Italia», presentato ieri a Roma da Gabriella Alemanno, direttore dell'agenzia del Territorio, e da Fabrizia Lapecorella, direttore generale delle Finanze, il cui dipartimento ha collaborato alla pubblicazione (ha partecipato anche Sogei). In Italia il valore medio di una casa è di 182mila euro (1.597 euro a mq). Il picco è in Liguria (2.750 euro/mq).
Anzitutto colpisce la macroscopica differenza tra i valori fiscali e quelli reali. Sia per quanto riguarda l'ICI, che per l'imponibile ai fini dell'imposta di registro (quello che si usa per le compravendite) siamo al rapporto uno a tre. Che in alcune regioni (si veda la tabella dal titolo: «Il rapporto», qui a fianco) arriva al 4,5, come in Trentino Alto Adige, dove evidentemente non ci si rende conto che le malghe dei pastori sono apprezzatissime seconde case, mentre il rapporto più favorevole al fisco è in Molise, dove il valore di mercato è poco più del doppio di quello catastale. Non molto diverso è il rapporto tra i valori Omi (quelli cioè registrati dall'Osservatorio immobiliare del Territorio) e quelli ICI: la media nazionale è 3,7 a uno.
Colpisce il confronto tra i valori locativi e la rendita catastale: qui siamo, come media italiana, sull'8 a uno, cioè la "rendita" attribuita dal catasto (e sulla quale si basano anche i valori ICI e Registro) è di otto volte inferiore ai canoni di locazione. Vero è che la rendita non deve corrispondere esattamente all'affitto medio ritraibile. C'è una diatriba sulla riforma del catasto, che divide gli studiosi tra quelli che vorrebbero un catasto di rendite e quelli che lo vorrebbero basato sui valori. In ambedue i casi, tuttavia, siamo lontanissimi dalla realtà e la tassazione immobiliare è, attualmente, basata su importi che andrebbero rivisti al più presto.
Anche sull'età media dei proprietari persone fisiche va registrato un dato importante: gli over 51 sono 13 milioni, contro gli otto milioni da 31 a 51 anni e solo un milione da 20 a 30 anni. Donne e uomini sono quasi in pari, ma la concentrazione geografica è nel Nord, dove risiede circa la metà, mentre al Centro e al Sud risulta un quarto dei proprietari per ciascuna area.
I dati del Territorio hanno anche registrato un successo, rispetto a quelli elaborati un anno fa: degli immobili di proprietà delle persone fisiche quelli di «utilizzo non ricostruito» sono passati dal 1,3 milioni a 367mila, e quelli «non riscontrati in dichiarazione» da 4,6 a 2,8 milioni. Il quadro diventa quindi molto più chiaro.
Rimane il dato più oscuro, quello degli «altri utilizzi». Posto che le abitazioni di proprietà delle persone fisiche che risultano locate sono 2,8 milioni e che le famiglie che dichiarano di vivere in affitto siano 4,3 milioni, anche togliendo la quota in edilizia residenziale pubblica (circa un milione) e le poche decine di migliaia in affitto in case di proprietà di persone non fisiche, restano almeno 500mila affitti in nero, da ricercarsi proprio tra quegli «altri utilizzi». Il vice ministro dell'Economia, Giuseppe Vegas, è ottimista: «Proprio perché gli immobili sono beni difficilmente occultabili è più semplice limitare l'evasione fiscale». Per Gabriella Alemanno, che ha evidenziato il progresso dell'elaborazione dei dati in possesso del Territorio dal 2009 al 2010, l'articolo 19 del Dl 78 rappresenta l'occasione per arrivare all'attestazione ipocatastale, «Una rivoluzione copernicana per cittadini e professionisti». Fabrizia Lapecorella ha ricordato gli aspetti sociali della ricerca, sottolinenado che i "rentier", cioè coloro che vivono in prevalenza di reddito immobiliare, sono solo l'8% ma detengono il 18% della ricchezza immobiliare, mentre il 73% dei proprietari ha un reddito inferiore a 26mila euro.
 

Graf

Nominato ad Honorem
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Privato Cittadino
Sono dati che si dovrebbero studiare con molta attenzione per ricavare da essi insegnamenti e previsioni sul mercato immobilare.
Leggere soprattutto fra le righe...
 

Carlo Garbuio

Membro Storico
Agente Immobiliare
Ecco il parere di Confedilizia
Senza significato i confronti tra valori di mercato e valori catastali degli immobili Precisazione dell’ Ufficio Studi della Confedilizia
A proposito della pubblicazione ”Gli immobili in Italia. Distribuzione del patrimonio e dei redditi dei proprietari”, edita dall’ Agenzia del territorio e dal Dipartimento delle finanze, e di articoli di stampa al proposito, concernenti in particolare il problema del rapporto fra valori di mercato degli immobili e valori catastali degli stessi, l’ Ufficio Studi della Confedilizia precisa quanto segue.

1.In tema di fiscalità immobiliare, vi è una questione di fondo consistente nella scelta sul tipo di tassazione degli immobili, su base reddituale ovvero su base patrimoniale. Se – come è preferibile e come avviene generalmente negli altri Paesi – la scelta è quella di tassare i redditi, e non di colpire in via permanente (con effetto espropriativo) i valori, allora va abolito l’ abnorme sistema oggi esistente e va sostituito con un reale Catasto di redditi. Il Catasto in essere è un Catasto che censisce il valore degli immobili del biennio 1988-89. I valori riscontrati sul mercato vengono – ai fini della tassazione – ricondotti a (finti) redditi con l’ applicazione di tre (apodittici) coefficienti, validi per l’ Italia intera: 1, per le abitazioni; 2, per gli uffici; 3, per i negozi. Da notare, poi, che nel 1996 le rendite catastali urbane sono state per legge aumentate del 5%. Questo tipo di Catasto è stato giudicato illegittimo – su ricorso della Confedilizia – dal Tar Lazio e dal Consiglio di Stato, e – per aggirare le eccezioni di legittimità ritenute fondate – nel 1993 è stato dal Governo Amato ”legificato”: di qui, il ricorso della Confedilizia alla Corte Costituzionale che, nel ‘94, soprassedette ad ogni dichiarazione di illegittimità rilevando ”la transitorietà della disciplina denunciata, superata dai nuovi criteri indicati dal legislatore, e cioè il valore di mercato insieme al valore locativo’‘.
2. Il confronto tra valore di mercato degli immobili e valore imponibile degli stessi ai fini fiscali risultante dai dati catastali, non è significativo se solo si considera che le aliquote minime e massime del principale tributo gravante sugli immobili, l’ ICI, sono state stabilite proprio in funzione dei valori catastali esistenti, che erano e sono ancora fondati – come detto – su rilevazioni relative al biennio 1988 / 89. Se i valori catastali venissero elevati, è evidente che il livello di tassazione che ne deriverebbe sarebbe abnorme.
3. Il confronto, poi, tra canoni di locazione e rendite catastali – per quel che può valere a fini fiscali – non ha anch’ esso valore alcuno per una serie di motivi concorrenti e pur separatamente validi: anzitutto, perché anche in questo caso il riferimento dovrebbe essere ai canoni del biennio 1988-89 e poi – e comunque – perché la rendita non è diretta espressione dei canoni, ma deve – per semplice equità, e come tutti sanno – essere calcolata tenendo conto di una serie di fattori (spese, imprevisti, assicurazione ecc.) che sono espressamente previsti dalla normativa catastale.
4. Ai fini dei confronti fra valori di mercato e valori catastali, si fa riferimento – per i primi – ai dati dell’ Osservatorio sul mercato immobiliare (OMI) dell’ Agenzia del territorio, per i quali viene negata alle rappresentanze di categoria la possibilità di effettuare – analogamente a quanto viene fatto con gli studi di settore – la relativa validazione, assumendo che gli stessi non abbiano rilevanza fiscale, mentre la loro valenza fiscale è testimoniata proprio dai continui confronti operati dall’ Agenzia del territorio, anche in sede contenziosa. Senza considerare che prima che l’ Europa censurasse le disposizioni italiane in tema di accertamento fiscale sulle compravendite immobiliari sulla base del ”valore normale” degli immobili, l’ Agenzia delle entrate aveva stabilito che tale valore fosse desunto proprio dai dati dell’ Osservatorio.
Questo (insuperabile) discorso vale, ovviamente e forse ancora a maggior ragione, per i canoni di locazione resi pubblici dall’ Agenzia, che non risultano peraltro rilevati sul territorio, sibbene solo determinati con elaborazioni. Non a caso, l’ esigenza di una validazione anche di questi dati è già stata sollevata in sede parlamentare.
Fonte
 

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