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Il titolare di una autofficina conveniva in giudizio un supercondominio dinanzi il Tribunale di Milano, chiedendo l'annullamento di una delibera con la quale era stata deliberata la chiusura, anche diurna, dei cancelli di accesso alle aree comuni dei condomini facenti parte del complesso immobiliare in quanto contrastante con l'art. 2 del Regolamento generale e con l'art. 1102, comma 2, c.c. sostenendo trattarsi di innovazione gravemente pregiudizievole per la propria attività commerciale esercitata in uno stabile del complesso condominiale sin dalla costruzione, stante l'impossibilità di libero accesso da parte dei clienti con le auto da riparare, nonché dei fornitori e dei carri attrezzi.
Il Tribunale rigettava la domanda con la compensazione delle spese processuali.

La Corte di appello di Milano viceversa dichiarava la nullità della delibera confermata la statuizione sulle spese di primo grado.
I giudici di secondo grado applicavano l'art. 1120, comma secondo del codice civile che vieta le innovazioni che potevano recare pregiudizio al fabbricato o rendere talune parti comuni inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
Nella specie la chiusura oltre che nelle ore notturne anche in quelle diurne del passaggio ovvero della sosta di auto estranee al supercondominio costituiva una consistente limitazione peggiorativa dell'attività dell'autofficina non rientrante nella competenza dell'assemblea, incidendo sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini.
Infine la controversia approdava al giudice di legittimità per il ricorso del supercondominio e la seconda sezione civile la decideva con la sentenza n. 3509 del 23 febbraio 2015.

Con un primo motivo, poi accolto, la difesa del supercondominio denunciava violazione e falsa applicazione dell'art. 1120, comma 2, c.c., nonché vizio di motivazione, per avere la corte di merito erroneamente ravvisato nella delibera che aveva disposto la chiusura anche diurna dei cancelli carrai da cui si accede alle aree comuni dei condominii facenti parte del supercondominio, pur se con consegna dei relativi telecomandi di apertura in favore di tutti i condomini, un'alterazione della funzione e destinazione originaria dell'area.

La corte distrettuale secondo il supercondominio aveva fornito una interpretazione dell'art. 1120 c.c. e del regolamento delle innovazioni del tutto difforme con quello consolidato della corte di legittimità.
Veniva posto il quesito di diritto: "Non viola la disciplina dettata in materia di innovazioni la delibera dell'assemblea dei condomini la quale abbia previsto la chiusura di un'area di accesso al complesso condominiale con un cancello e con consegna del congegno di apertura ai vari proprietari, essendo la stessa non inquadrabile tre le innovazioni (atteso che le stesse sono costituite dalle modificazioni materiali della cosa comune che ne importino l'alterazione dell'essenza sostanziale e strutturale o il mutamento della sua originaria destinazione), non comportando, essa delibera, alcuna mutazione, trasformazione, modificazione della consistenza o sfruttamento per fini diversi da quelli precedenti, con la conseguenza che l'assemblea dei condomini può deliberare con la maggioranza di cui all'art. 1136 c.c. comma II e III".
La Corte territoriale aveva ritenuto di ricondurre la fattispecie alla previsione dell'art. 1120, comma 2, c.c. e valutato non conforme alla disciplina in materia di utilizzo del bene comune la statuizione del giudice di primo grado con la quale era stata dichiarata la validità dell'impugnata delibera, in quanto costituiva una consistente limitazione peggiorativa dell'attività dell'attore come tale non rientrante nella competenza dell'assemblea, incidendo sui diritti individuali rispetto alle cose e ai servizi comuni.
La Corte di Appello, secondo i giudici della seconda sezione della Cassazione, in tal modo disattendeva il principio in base al quale le deliberazioni assembleari condominiali o lo stesso regolamento condominiale possono limitare l'uso delle parti comuni.

Secondo la giurisprudenza di Cassazione per innovazioni delle cose comuni devono intendersi non tutte le modificazioni ma solamente quelle modifiche che, determinando l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti.
Per innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120 c.c., deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirino a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto.
Nella specie i lavori deliberati concernenti l'apposizione, all'ingresso dell'area condominiale, di due cancelli per il transito pedonale e per il passaggio veicolare, non potevano certo ricondursi al concetto di innovazioni come qualificate dall'art. 1120 c.c., non comportando alcun mutamento di destinazione delle zone condominiali ed essendo, anzi, dirette a disciplinare, in senso migliorativo, l'uso della cosa comune impedendo a terzi estranei l'indiscriminato accesso al condominio, soprattutto considerando che in uno dei fabbricati del condominio esisteva l'attività commerciale di autofficina con conseguente possibilità di un transito continuo di veicoli estranei alla collettività condominiale.

Pertanto viene riconfermato il principio secondo cui, in tema di condominio di edifici, la delibera assembleare, con la quale sia stata disposta la chiusura di un'area di accesso al fabbricato condominiale con uno o più cancelli per disciplinare il transito pedonale e veicolare anche in funzione di impedire l'indiscriminato accesso di terzi estranei a tale area, rientra legittimamente nei poteri dell'assemblea dei condomini, attenendo all'uso della cosa comune ed alla sua regolamentazione, senza sopprimere o limitare le facoltà di godimento dei condomini, non incidendo sull'essenza del bene comune né alterandone la funzione o la destinazione (Cass. civ. 9999/1992 e 875/1999).

Inoltre non è necessaria la maggioranza qualificata ovvero l'unanimità dei consensi per la legittimità di una delibera assembleare condominiale avente detto oggetto, non concernendo tale delibera una "innovazione" secondo il significato attribuito a tale espressione dal codice civile, ma riguardando solo la regolamentazione dell'uso ordinario della cosa comune consistente nel non consentire a terzi estranei al condominio l'indiscriminato accesso alle aree condominiali delimitate dai cancelli.

La sentenza impugnata è stata cassata in relazione al primo motivo svolto dal supercondominio con il rinvio della causa ad altra sezione della Corte d'Appello che dovrà conformarsi al principio di diritto enunciato e decidere sulle spese del giudizio.

Avv. Luigi De Valeri
 

primis1

Nuovo Iscritto
Privato Cittadino
Il titolare di una autofficina conveniva in giudizio un supercondominio dinanzi il Tribunale di Milano, chiedendo l'annullamento di una delibera con la quale era stata deliberata la chiusura, anche diurna, dei cancelli di accesso alle aree comuni dei condomini facenti parte del complesso immobiliare in quanto contrastante con l'art. 2 del Regolamento generale e con l'art. 1102, comma 2, c.c. sostenendo trattarsi di innovazione gravemente pregiudizievole per la propria attività commerciale esercitata in uno stabile del complesso condominiale sin dalla costruzione, stante l'impossibilità di libero accesso da parte dei clienti con le auto da riparare, nonché dei fornitori e dei carri attrezzi.
Il Tribunale rigettava la domanda con la compensazione delle spese processuali.

La Corte di appello di Milano viceversa dichiarava la nullità della delibera confermata la statuizione sulle spese di primo grado.
I giudici di secondo grado applicavano l'art. 1120, comma secondo del codice civile che vieta le innovazioni che potevano recare pregiudizio al fabbricato o rendere talune parti comuni inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
Nella specie la chiusura oltre che nelle ore notturne anche in quelle diurne del passaggio ovvero della sosta di auto estranee al supercondominio costituiva una consistente limitazione peggiorativa dell'attività dell'autofficina non rientrante nella competenza dell'assemblea, incidendo sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini.
Infine la controversia approdava al giudice di legittimità per il ricorso del supercondominio e la seconda sezione civile la decideva con la sentenza n. 3509 del 23 febbraio 2015.

Con un primo motivo, poi accolto, la difesa del supercondominio denunciava violazione e falsa applicazione dell'art. 1120, comma 2, c.c., nonché vizio di motivazione, per avere la corte di merito erroneamente ravvisato nella delibera che aveva disposto la chiusura anche diurna dei cancelli carrai da cui si accede alle aree comuni dei condominii facenti parte del supercondominio, pur se con consegna dei relativi telecomandi di apertura in favore di tutti i condomini, un'alterazione della funzione e destinazione originaria dell'area.

La corte distrettuale secondo il supercondominio aveva fornito una interpretazione dell'art. 1120 c.c. e del regolamento delle innovazioni del tutto difforme con quello consolidato della corte di legittimità.
Veniva posto il quesito di diritto: "Non viola la disciplina dettata in materia di innovazioni la delibera dell'assemblea dei condomini la quale abbia previsto la chiusura di un'area di accesso al complesso condominiale con un cancello e con consegna del congegno di apertura ai vari proprietari, essendo la stessa non inquadrabile tre le innovazioni (atteso che le stesse sono costituite dalle modificazioni materiali della cosa comune che ne importino l'alterazione dell'essenza sostanziale e strutturale o il mutamento della sua originaria destinazione), non comportando, essa delibera, alcuna mutazione, trasformazione, modificazione della consistenza o sfruttamento per fini diversi da quelli precedenti, con la conseguenza che l'assemblea dei condomini può deliberare con la maggioranza di cui all'art. 1136 c.c. comma II e III".
La Corte territoriale aveva ritenuto di ricondurre la fattispecie alla previsione dell'art. 1120, comma 2, c.c. e valutato non conforme alla disciplina in materia di utilizzo del bene comune la statuizione del giudice di primo grado con la quale era stata dichiarata la validità dell'impugnata delibera, in quanto costituiva una consistente limitazione peggiorativa dell'attività dell'attore come tale non rientrante nella competenza dell'assemblea, incidendo sui diritti individuali rispetto alle cose e ai servizi comuni.
La Corte di Appello, secondo i giudici della seconda sezione della Cassazione, in tal modo disattendeva il principio in base al quale le deliberazioni assembleari condominiali o lo stesso regolamento condominiale possono limitare l'uso delle parti comuni.

Secondo la giurisprudenza di Cassazione per innovazioni delle cose comuni devono intendersi non tutte le modificazioni ma solamente quelle modifiche che, determinando l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti.
Per innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120 c.c., deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirino a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto.
Nella specie i lavori deliberati concernenti l'apposizione, all'ingresso dell'area condominiale, di due cancelli per il transito pedonale e per il passaggio veicolare, non potevano certo ricondursi al concetto di innovazioni come qualificate dall'art. 1120 c.c., non comportando alcun mutamento di destinazione delle zone condominiali ed essendo, anzi, dirette a disciplinare, in senso migliorativo, l'uso della cosa comune impedendo a terzi estranei l'indiscriminato accesso al condominio, soprattutto considerando che in uno dei fabbricati del condominio esisteva l'attività commerciale di autofficina con conseguente possibilità di un transito continuo di veicoli estranei alla collettività condominiale.

Pertanto viene riconfermato il principio secondo cui, in tema di condominio di edifici, la delibera assembleare, con la quale sia stata disposta la chiusura di un'area di accesso al fabbricato condominiale con uno o più cancelli per disciplinare il transito pedonale e veicolare anche in funzione di impedire l'indiscriminato accesso di terzi estranei a tale area, rientra legittimamente nei poteri dell'assemblea dei condomini, attenendo all'uso della cosa comune ed alla sua regolamentazione, senza sopprimere o limitare le facoltà di godimento dei condomini, non incidendo sull'essenza del bene comune né alterandone la funzione o la destinazione (Cass. civ. 9999/1992 e 875/1999).

Inoltre non è necessaria la maggioranza qualificata ovvero l'unanimità dei consensi per la legittimità di una delibera assembleare condominiale avente detto oggetto, non concernendo tale delibera una "innovazione" secondo il significato attribuito a tale espressione dal codice civile, ma riguardando solo la regolamentazione dell'uso ordinario della cosa comune consistente nel non consentire a terzi estranei al condominio l'indiscriminato accesso alle aree condominiali delimitate dai cancelli.

La sentenza impugnata è stata cassata in relazione al primo motivo svolto dal supercondominio con il rinvio della causa ad altra sezione della Corte d'Appello che dovrà conformarsi al principio di diritto enunciato e decidere sulle spese del giudizio.

Avv. Luigi De Valeri
 

primis1

Nuovo Iscritto
Privato Cittadino
Si sono d'accordo con quanto stabilito dalla corte di cassazione, l'unica via di uscita del proprietario dell'officina meccanica è verificare se esiste in capo allo stesso e/o all'immobile di sua proprietà, un proprio diritto di passaggio pedonale e carrabile attraverso i varchi di accesso al supercondominio.(anche per usucapione) in quel caso, l'apposizione e chiusura dei varchi con cancelli con contestuale consegna delle chiavi degli stessi, determinerebbe una lesione grave del diritto di "utilitas" del passaggio carrabile , ed i cancelli verrebbero automaticamente smantellati.
 

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