Solo quando il recesso del locatore è costituito da un “malizioso comportamento preordinato a creare uno stato di necessità”, tale recesso non si configura legittimamente esercitato ai sensi dell’art. 3 della legge n°431/1998. Al di fuori di tale ipotesi, il locatore può agire liberamente ogni qual volta si presentino particolari esigenze di carattere personale, indicate dalla citata legge, che appaiono meritevoli di protezione. Nella disdetta deve, però, essere specificato il motivo in forza del quale non intende rinnovare il contratto, così da consentire a te, e semmai al giudice, in caso sorga un contenzioso giudiziario, di verificarne la fondatezza: se manca l’indicazione dello specifico motivo, il diniego di rinnovo è nullo, con la conseguenza che il contratto prosegue anche per il successivo periodo quadriennale previsto dalla legge.
Ciò premesso, riguardo il caso proposto, la Suprema Corte ha avuto modo di affermare, con sentenza n°2095/1985, che il recesso del locatore, per necessità abitativa, art. 3, comma 1, lettera a) della succitata legge (“quando il locatore intenda destinare l’immobile a uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale proprio, del coniuge, dei genitori, dei figli o dei parenti entro il secondo grado”), è ammissibile – in assenza di patto contrario – anche per una porzione soltanto dell’appartamento locato, ove quest’ultimo sia facilmente divisibile e adatto a soddisfare la predetta necessità, salva la facoltà del conduttore di scegliere fra la conservazione del rapporto locativo per la residua parte dell’immobile ovvero la sua rescissione integrale.