studiopci

Membro Storico
Salve, ho letto la sentenza è da quanto mi sembra di capire, la Suprema Corte non ha emesso nessuna sentenza... ha solo dichiarato inammissibile il ricorso alla Cassazione perchè il quesito posto non è chiaro, per cui ha rigettato e di conseguenza la sentenza di secondo grado è valida... quindi come Ponzio Pilato ... " Io me ne lavo le mani " ... ora resta da vedere la sentenza di II grado ( l'obbrobrio forse è meglio dire ) come ha motivato. Fabrizio
 

Pennylove

Membro Assiduo
Privato Cittadino
Devo dire che non mi suscita perplessità la sentenza in commento (articolata e ben argomentata in senso logico-giuridico) che quasi nulla di nuovo aggiunge al tema del nesso causale nella c.d. attività di mediazione tipica, anche se costituisce comunque un’utile occasione per porsi alcune domande di fondo su questa (controversa e complessa) tematica. Per poter prendere posizione sul problema affrontato dalla sentenza riportata, e, più in generale, sul diritto alla provvigione, occorre chiedersi:

Quando è che si ritiene concluso un “affare” tra le parti, ai sensi dell’art. 1755 cod. civ., tale da legittimare il mediatore a pretendere la provvigione?

Qual è il contenuto dell’attività (necessaria e sufficiente) che il mediatore deve svolgere per potere vantare legittimamente il proprio diritto a percepire la provvigione?

La prima delle due domande – sorvolando (volutamente) su tutta una serie di aspetti problematici determinati dalla c.d. mediazione “atipica” che, rispetto alla sentenza in commento, assume comunque un rilievo del tutto marginale e non pertinente all’oggetto in analisi – potrebbe essere “liquidata” abbastanza agevolmente concentrandosi su come debba essere interpretata, di norma, codesta benedetta locuzione “affare”, se non fosse che “affare” è un termine che, nell’ottica del legislatore italiano, non corrisponde con precisione a “contratto”. Proprio su questa apparente incongruità riposa uno dei nodi più dibattuti in dottrina e nelle aule giudiziarie, in quanto, di volta in volta, si è discusso quali possano essere contenuto ed effetti del vincolo che deve venire a crearsi tra le parti intermediate, grazie all’intervento del mediatore stesso.

Ora, l’uso di questo termine (“affare”) è frutto di una scelta (che si può condividere o meno), che non a caso evita di legare la provvigione ad un contratto, inteso in senso tecnico e formale, per collegarla, invece, ad una operazione economica, dalla quale sorge un vincolo giuridico tra almeno due soggetti che li abiliti ad agire poi per l’esecuzione di esso o quanto meno per il risarcimento del danno (tra le tante, una su tutte: Cass. n°6731/2002). In sostanza, nella prassi più comune, e per giurisprudenza pressoché costante, il diritto alla provvigione si lega alla conclusione tra le parti intermediate almeno di un contratto preliminare che determina, conseguentemente, il dies a quo al fine di far decorrerere il calcolo di prescrizione art. 2950 cod. civ.

Per quanto attiene, invece, alla seconda delle due domande, ossia all’attività minima che il mediatore deve svolgere per poter vantare il diritto alla provvigione, occorre rilevare che essa può andare da un minimo della semplice presentazione dell’”affare” alle parti o della semplice presentazione di una parte all’altra, al massimo della gestione integrale della trattativa fino alla conclusione del contratto davanti al notaio.

Tra questi due estremi, è chiaro che vi sono infinite gradazioni di intensità d’intervento del mediatore nella trattativa, la cui idoneità effettiva ad incidere sulla conclusione dell’”affare” va vista caso per caso ed è rimandata al giudice (da qui sentenze apparentemente contrastanti).

Tuttavia – come riportato anche dalla sentenza in discorso – a più riprese (Cass. n°8245/1990; Cass. n°9078/2001; Cass. n°7253/2002; Cass. n°5952/2005) è stato affermato che anche la semplice attività consistente nel reperimento e nell’indicazione dell’altro contraente, o nella segnalazione dell’”affare”, legittima il diritto alla provvigione, sempre che tale attività costituisca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore, anche qualora l’intervento del mediatore si fermi a tale attività iniziale e questa venga poi conclusa per iniziativa delle parti.

Fermandosi a queste affermazioni, sembrerebbe dunque potersi ritenere che al mediatore “escluso” bastasse anche un intervento di portata molto limitata, anche la semplice indicazione iniziale dell’”affare” e di una semplice visita all’immobile posto in vendita. Così non è, in quanto vi sono alcuni correttivi che debbono essere inseriti in discorso. Infatti, è stato ritenuto che:

a) la mera indicazione di un potenziale acquirente o venditore, al di fuori di ogni attività di mediazione, non può determinare un contratto di mediazione (Cass. n°8245/1990);

b) non dà luogo a mediazione l’opera di un soggetto che, senza aver posto in relazione i soggetti contraenti, né aver compiuto alcun intervento determinante ai fini della conclusione dell’’”affare”, si sia limitato a svolgere un’attività di mera assistenza per agevolarne l’esecuzione (Cass. n°4735/1987);

c) l’indicazione di un potenziale acquirente o venditore deve essere specifica al punto tale da consentire alle parti, senza necessità di ulteriori attività preliminari, una diretta presa di contatto (Corte d’Appello di Firenze, 21/05/2008);

d) occorre l’avvicinamento delle parti finalizzata alla conclusione dell’”affare” e non basta la mera indicazione dell’”affare” (Cass. n°9350/1990).

In buona sostanza, l’attività compiuta (l’aver mostrato l’immobile al potenziale acquirente), seppure occasionata dal rapporto di mediazione, di per sé sola (in quanto non sviluppata in una successiva, reale “messa in relazione”) è di per sé priva di natura mediatoria e di rilevanza causale rispetto alla successiva conclusione dell’”affare” da parte di altro soggetto iscritto al ruolo.

In realtà, quello che mi preme far notare, conclusivamente, è che il modo di intendere il nesso casuale nella mediazione, alla luce delle sentenze di Cassazione, pare spostarsi più sul piano dell’utilità dell’apporto del mediatore ai fini della conclusione dell’affare, che dell’astratta idoneità causale in senso stretto. In altre parole, assume rilevanza ogni attività svolta dal mediatore che possa essere utilmente valorizzata dalle parti o da altro mediatore (art. 1758 cod. civ.) per la chiusura fruttuosa della trattativa.

Parlare di utilità o di causalità adeguata non sposta però più di tanto i termini della questione: è indubbio che debba comunque sussistere un rapporto di derivazione di un evento dall’altro, se non fosse che tale rapporto risulta molto spesso “aggravato” dalla circostanza che l’attività di una agenzia appare svolta da più agenzie, non soltanto in collaborazione tra loro, ma con apporti separati ed autonomi, distinti anche cronologicamente che il giudice è chiamato a valutare, applicando o meno il richiamato art. 1758 cod. civ. (Pluralità di mediatori).

Ho detto abbastanza. Immobiliamente vostra

Penny:amore:
 
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andrea boschini

Moderatore
Membro dello Staff
Agente Immobiliare
Molto ben argomentato... ma il punto, al di la' di quello giuridico ,e' a mio parere altro.
Etica professionale? inesistente!
Correttezza sia del cliente che del collega...nulla!
La correttezza... questa sconosciuta! Porto il cliente...tu lo riporti a distanza di tempo, lo convinci a rivederlo ( raccontando magari pirlate e falsita' o semplicemente sei piu' imbonitore di me ) ben sapendo che un altro collega ha gia' percorso questa strada, ma vai avanti , senza rendere edotti i clienti dei potenziali problemi che potranno affrontare ( vedi i due gradi di giudizio e un terzo che non ha deciso nulla ). Perche' sarebbe interessante scoprire se quel cliente avesse saputo a cosa andava incontro, avrebbe rifatto quella strada?
In nazioni piu' evolute, questa situazione avrebbe portato il collega " piu' sveglio " a farsi terra bruciata attorno e difficilmente si azzardano a fare le scarpe in una maniera cosi' penosa!
Ultima considerazione... di quanto fosse basso il livello della categoria lo si vede ogni giorno, peccato manchi almeno la dignita' di non piangersi addosso, quando il cliente scavalca o per le tantissime vendite dirette che vengono fatte, la conferma di essere semplici apriporta o accompagnatori del turismo immobiliare viene proprio data dalla poca valenza che abbiamo nei confronti del legislatore...nada de nada !!!
 

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