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Il fatto.
L'inquilino di un appartamento condominiale citò in giudizio il condominio per far accertare l'equo canone e per ottenere la restituzione di quanto pagato in eccesso rispetto al dovuto e di quanto versato a titolo di spese straordinarie.
Il condominio si costituì contestando le domande e chiedendo, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto a seguito del mancato pagamento dei canoni per svariati mesi.
Il Tribunale di Roma condannò il condominio a restituire quanto percepito a titolo di spese straordinarie con la detrazione dei canoni non versati dalla conduttrice dichiarando però risolto il contratto e ordinando il rilascio dell'immobile.
La Corte di Appello di Roma confermò la decisione di primo grado per cui la conduttrice si rivolse al giudice di legittimità.
La terza sezione civile ha deciso il ricorso con la sentenza n. 3596 del 24 febbraio 2015.

La Corte di Appello aveva confermato la pronuncia di risoluzione del contratto, ritenendo che la conduttrice non potesse sospendere il pagamento del canone in costanza di godimento dell'immobile.
Inoltre quanto al canone applicabile il giudice d'appello aveva confermato l'assunto del Tribunale romano per cui "l'equo canone, con riguardo ai contratti transitati nel regime della legge n. 431 del 1998, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 2 della medesima, in relazione al successivo articolo 14, trova applicazione esclusivamente fino al momento del transito, ossia fino alla prima scadenza del contratto successiva all'entrata in vigore della nuova legge"

La difesa della conduttrice con un primo e quinto motivo contestava l'affermazione della inapplicabilità dell'equo canone per il periodo successivo al transito del contratto nella disciplina della Legge 431/1998 e deduceva rispettivamente la "violazione dell'art. 79 l. n. 392/78 in combinato disposto con gli art. 2 comma VI e art. 14 l. 431/98 e dell'art. 1597 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 C.P.C." e "contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia".
La ricorrente si rifaceva al contrario orientamento espresso da Cass. n. 12996/2009 ed evidenzia la contraddittorietà del giudice di appello secondo cui contraenti "hanno voluto rimettersi a quanto previsto dalla norma sulla rinnovazione tacita ex art. 1597 c.c." ma "al contempo, esclude che quegli stessi contraenti abbiano voluto rimettersi alla stessa norma" laddove "prevede che il contratto tacitamente rinnovato ... è sottoposto alle stesse condizioni del precedente".

Entrambi i motivi sono stati accolti dai giudici della Suprema Corte alla luce dei principi espressi da Cass. 12996/2009, secondo cui, "nel caso di pendenza, alla data di entrata in vigore della legge n. 431 del 1988, di un contratto di locazione ad uso abitativo con canone convenzionale ultralegale rispetto a quello c.d. equo da determinarsi ai sensi degli artt. 12 e segg. della legge n. 392 del 1978, qualora sia intervenuta la sua rinnovazione tacita ai sensi dell'art. 2, comma 6, della legge n. 431 del 1998, il conduttore - in difetto di una norma che disponga l'abrogazione dell'art. 79 della menzionata legge n. 392 del 1978 in via retroattiva o precluda l'esercizio delle azioni dirette a rivendicare la nullità di pattuizioni relative ai contratti in corso alla suddetta data - è da considerarsi legittimato, in relazione al disposto del comma 5 dell'art. 14 della medesima legge n. 431 del 1998, ad esercitare l'azione prevista dall'indicato art. 79 diretta a rivendicare l'applicazione, a decorrere dall'origine del contratto e fino alla sua naturale scadenza venutasi a verificare successivamente alla stessa data in difetto di idonea disdetta, del canone legale con la sua sostituzione imperativa, ai sensi dell'art. 1339 cod. civ., al pregresso canone convenzionale illegittimamente pattuito.

La sostituzione con il canone equo, in ipotesi di accoglimento dell'azione, dispiega i suoi effetti anche con riferimento al periodo successivo alla rinnovazione tacita avvenuta nella vigenza della legge n. 431 del 1998.

Il quarto e il sesto motivo proposti dalla ricorrente censuravano la sentenza nella parte in cui aveva ritenuto infondata l'eccezione di inadempimento sollevata dalla medesima parte.
Entrambi sono stati giudicati infondati perchè "nel caso in esame, di inadempimento assoluto dell'obbligazione di far godere la cosa locata non è neppur il caso di discorrere, pacifico essendo che la conduttrice ha continuato a vivere nell'immobile locato e altresì a servirsi del bagno, quantunque non fatto oggetto ad opera del locatore degli interventi di manutenzione che secondo la stessa sarebbero stati necessari" ma risulta conforme ai consolidati indirizzi di legittimità, secondo cui la sospensione totale o parziale del pagamento del canone è legittima soltanto quando venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore (Cass. 8425/2006, Cass. 7772/2004).

Pertanto sono stati accolti il primo ed il quinto motivo e rigettati gli altri e la sentenza cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà attenersi ai principi di diritto evidenziati.

Avv. Luigi De Valeri
 

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