desmo

Membro Attivo
Agente Immobiliare
forse mi potevo spiegare meglio, faccio un esempio: se ho comprato casa 2 anni fa precisi, ed oggi stesso faccio l'atto di vendita, se in questi 2 anni ho avuto la residenza in questo immobile per almeno 1 anno ed 1 giorno, allora non pago plusvalenza. Quindi si considera il periodo intercorrente tra il giorno d'acquisto e quello di vendita, se abbiamo avuto in questo immobile la residenza per piú della meta di questo tempo, allora non si paga plusvalenza. Anche i 5 anni vanno contati dal giorno d'acquisto e non dal giorno di residenza effettiva
 

Kurt

Membro Attivo
Professionista
A integrazione e per dare dei riferimenti.
La norma sulla quale si basa la plusvalenza è il DPR 917/86 che all'art. 81 determina la plusvalenza ai fini IRPEF "le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di 5 anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto o la costruzione e la cessione sono state edibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari".
Base di calcolo dell'imposta
In altre parole la plusvalenze deve essere calcolata sull'eventuale differenza tra il prezzo d'acquisto e quello di vendita tassata come reddito del venditore.
Con il termine familiari l'art. 5 del DPR 917/85 indica il coniuge, i parenti entro il 3 grado e gli affini entro il 2 grado.
Termine di 5 anni per la plusvalenza
l'art. 67, comma 1, lettera b) del 917/86 definisce come data di inizio per il calcolo dei 5 anni:
a) la data del rogito per l'acquisto di immobili già esistenti;
b) la data di realizzazione del bene per gli immobili di nuova costruzione
Come indicato dall'art.81 sono escluse dalla tassazione le abitazioni in cui il proprietario abbia avuto la propria residenza (o quella di un proprio familiare) per la maggior parte del tempo intercorrente dal giorno dell’acquisto (o della costruzione) e quello della vendita. Si tratta in pratica delle abitazioni utilizzate come “prima casa” ma attenzione la definizione è diversa da quella che riguarda le agevolazioni per l’acquisto della “prima casa”. La Legge richiede che il proprietario o un familiare abbia avuto la propria residenza cosa che può anche non avvenire con le abitazioni acquistate come prima casa, pertanto non tutte le abitazioni acquistate utilizzando i benefici prima casa possono essere considerate esenti dall’imposta sulle plusvalenze.
Inoltre, la Legge non chiede che la casa venduta sia stata acquistata utilizzando le agevolazioni prima casa, quindi la tassazione sulla plusvalenza può essere esclusa anche per le case acquistate senza applicazione delle note agevolazioni “prima casa” se il proprietario o un familiare vi ha portato la propria residenza.
Pertanto l’iscrizione all’anagrafe serve per dimostrare oggettivamente uno stato certificato da pubblici ufficiali (hanno l'obbligo del controllo e in ipotesi di dichiarazione mendace da parte del cittadino possono agire anche per Legge oltre rifiutare la registrazione). Se per ipotesi l'iscrizione della residenza non è avvenuta immediatamente all’ingresso nell’appartamento è possibile dimostrare il domicilio principale grazie a circostanze oggettive.
Con la risoluzione n. 218/E 2008 l'AE ha precisato che la circostanza dell'effettivo utilizzo dell'immobile come dimora principale, anche se diversa da quella risultante dai registri anagrafici, deve essere dimostrata sulla base di circostanze oggettive. Per circostanze oggettive, che liberino il proprietario dal pagare la plusvalenza ci sono ad esempio: l'indicazione del domicilio nella corrispondenza, l'intestazione delle utenze domestiche e l'effettivo utilizzo dei servizi connessi.
Per quanto esposto è esclusa l'imponibilità della vendita al rispetto di questa norma solo se si è in grado di dimostrare che si è utilizzato il bene per la maggior parte del tempo in cui è detenuta la proprietà (1/2 tempo + 1 giorno) con dimostrazione "libera". Meglio se si considera la residenza (nessuno contesta) o in caso contrario con bollette ecc (ma potrebbe scaturire contenzioso tributario).
Partendo dal presupposto che la nuova casa costi di più di quella che venderai e per non "buttare" parte del credito che vanterai alla vendita della prima casa esiste una possibile soluzione. Basterebbe acquistare in quote non paritetiche in modo da ottimizzare il carico fiscale regolando poi con atto depositato (a fede futura) presso il notaio i reali conti economici intercorrenti tra di voi.
Anche ai fini di un eventuale mutuo non ci sarebbero problemi tanto la casa sarebbe ipotecata comunque per l'intero.
Kurt
 

desmo

Membro Attivo
Agente Immobiliare
ottimo articolo Kurt :ok: ma spiegami meglio questo punto:

Basterebbe acquistare in quote non paritetiche in modo da ottimizzare il carico fiscale regolando poi con atto depositato (a fede futura) presso il notaio i reali conti economici intercorrenti tra di voi.

Grazie!

 

Kurt

Membro Attivo
Professionista
Se al momento dell'acquisto non si indica nulla l'acquisto si intende fatto per quote paritetiche tra i comproprietari (nel caso indicato 50%) ma nulla vieta di dichiarare che le quote non sono paritetiche, quindi che uno è proprietario del 75% e l'altro del 25%. In questo modo chi compra il 75% ha la possibilità di fare il conteggio su una base imponibile più ampia che assorbe integralmente (stiamo facendo un esempio semplice) il credito generato dalla vendita.

Unico problema che può esistere è quello della tutela di chi si dichiara proprietario al 25%. Per questo suggerivo un atto privato in duplice copia con data certa (basta andare all'ufficio postale e fare mettere un timbro su ogni copia) da conservare a mani del notaio in due buste nominative. Un domani che dovessero sorgere dei problemi (vedi p.es. separazione) basta andare dal notaio e farsi dare la propria busta e se l'atto è stato fatto bene non ci sarebbero problemi a suddividersi i soldi della vendita al 50%.

Per i terzi non cambia nulla. La banca eroga il mutuo anche a uno solo dei proprietari purchè l'altro dia assenso all'iscrizione di ipoteca (tutta la casa viene ipotecata).

Infine un controllo da fare ai fini della deducibilità degli interessi per i mutui prima casa è che l'importo del mutuo sia coerente con la quota di proprietà. Ma ora che il fenomeno della sottodichiarazione del valore di acquisto non è più incentivato dalla normativa fiscale (valore catastale come base di calcolo per applicazione imposta registro) normalmente si riesce a rispettare anche questo aspetto.

Ciao
Kurt
 

Kurt

Membro Attivo
Professionista
Umberto,

nella risposta citavo espressamente l'art. 5 del TUIR che indica quali familiari sono da considerare "coniuge, parenti entro il 3 grado e affini entro il 2 grado".

Una volta definito chi è parente ai fini della normativa fiscale diviene inutile e pesante per la risposta ripetere espressamente ancora il concetto, rimane sottointeso.

A titolo esemplificativo sono:
Parenti di primo grado
- Figli e genitori (linea retta)
Parenti di secondo grado
- Fratelli e sorelle; linea collaterale: sorella, padre (che non si conta), sorella.
- Nipoti e nonni; linea retta: nipote, padre, nonno (che non si conta).
Parenti di terzo grado:
- Nipote e zio; linea collaterale: nipote, padre, nonno (che non si conta - zio).
- Bisnipote e bisnonno; linea retta: bisnipote, padre, nonno, bisnonno (che non si conta).

La affinità è il vincolo fra un coniuge ed i parenti dell’altro coniuge (gli affini di ciascun coniuge non sono affini fra di loro).
Il grado di affinità è lo stesso che lega il parente di uno dei coniugi e quindi (a titolo esemplificativo) sono:
Affini di primo grado
- Suocero e genero (in quanto la moglie è parente di primo grado con il proprio padre), suocero e nuora
Affini di secondo grado
- marito e fratello della moglie (in quanto la moglie è parente di secondo grado con il proprio fratello), moglie e sorella del marito etc..

Ricordo che i coniugi (soggetti legati da rapporto di coniugio) non sono né parenti, né affini ed è per questo che il citato art. 5 menziona espressamente il coniuge

Kurt
 

desmo

Membro Attivo
Agente Immobiliare
Se al momento dell'acquisto non si indica nulla l'acquisto si intende fatto per quote paritetiche tra i comproprietari (nel caso indicato 50%) ma nulla vieta di dichiarare che le quote non sono paritetiche, quindi che uno è proprietario del 75% e l'altro del 25%. In questo modo chi compra il 75% ha la possibilità di fare il conteggio su una base imponibile più ampia che assorbe integralmente (stiamo facendo un esempio semplice) il credito generato dalla vendita.

Unico problema che può esistere è quello della tutela di chi si dichiara proprietario al 25%. Per questo suggerivo un atto privato in duplice copia con data certa (basta andare all'ufficio postale e fare mettere un timbro su ogni copia) da conservare a mani del notaio in due buste nominative. Un domani che dovessero sorgere dei problemi (vedi p.es. separazione) basta andare dal notaio e farsi dare la propria busta e se l'atto è stato fatto bene non ci sarebbero problemi a suddividersi i soldi della vendita al 50%.

Per i terzi non cambia nulla. La banca eroga il mutuo anche a uno solo dei proprietari purchè l'altro dia assenso all'iscrizione di ipoteca (tutta la casa viene ipotecata).

Infine un controllo da fare ai fini della deducibilità degli interessi per i mutui prima casa è che l'importo del mutuo sia coerente con la quota di proprietà. Ma ora che il fenomeno della sottodichiarazione del valore di acquisto non è più incentivato dalla normativa fiscale (valore catastale come base di calcolo per applicazione imposta registro) normalmente si riesce a rispettare anche questo aspetto.

Ciao
Kurt
Interessante...ma sulla garanzia per il proprietario del 25% ho dei dubbi. La validitá di questo atto che dici che puó restare in busta chiusa da un notaio, se fosse un atto vero e proprio, sarebbe pubblico con tanto di trascrizione per l'opponibilitá a terzi, e andrebbe per forza contro quello appena fatto con la suddivisione delle quote in maniera non paritetica...se non fosse un atto, ma un contratto, una scrittura privata, dovrebbe essere registrata in ADE..., e sarebbe in conflitto con l'atto stesso, ma anzi, sarebbe proprio nullo, in quanto non idoneo a ripartire quote di proprietà per sua natura stessa, insospettirebbe solamente l'agenzia delle entrate che si troverebbe un contratto con una ripartizione del carico fiscale, ed un atto con un'altra...cioé, tra un atto pubblico che dice che io e te siamo proprietari rispettivamente al 75% ed al 25% (a me di piú :sorrisone:) ed un contratto diverso dall'atto pubblico che dica diversamente, quest'ultimo sarebbe carta igienica perché inidoneo a trasferire quote di proprietá. Se si scrivesse invece nella scrittura privata che parte dei soldi (per il 25%) fosse stata messa da chi ha avuto solo il 25%, entreremmo nel merito delle donazioni indirette, e diventerebbe una bella gatta da pelare..che ne pensi?
 

Kurt

Membro Attivo
Professionista
attenzione che non sempre un suggerimento può o deve essere considerato a un livello più ampio, in caso contrario si inneca un vortice di considerazioni che allontanano dallo scopo originario.

Nel caso che abbiamo davanti ho considerato che si tratta di una giovane coppia che inizia un percorso di vita comune sicuramente felice e allietato (se lo vorranno) da eredi. In caso di separazione questo nuovo scenario comporterebbe già una variazione importante (la casa andrebbe al comiuge affidatario della prole). Si aggiunga che non consosciamo altro che quanto indicato in domanda (situazioni giuridiche esistenti, regimi fiscali ecc.) .

L'ipotesi che facevo io era nella sola ipotesi di rottura del rapporto e conseguente decisione di vendita della casa. Pertanto con valore di tutela interna alla coppia e non verso terzi (se si volesse tutelare il bene verso pretese di terzi - a parte la banca che si tutela da sola con l'ipoteca sulla stessa casa - ci sono altri istituti quali ad esempio il fondo patrimoniale).

Trattandosi di tutela interna alla coppia basta un formale riconoscimento del credito monetario. La scrittura privata costituirebbe un riconoscimento di debito da parte di un partner all'altro e fornirebbe titolo per chiedere che il venditore versi le quote applicando le quote indicate in atto privato. In altre parole è come se esistesse un prestito infruttifero ma partecipativo all'incremento/decremento di valore della casa). Se il partner proprietario del 75% non volesse aderire alla richiesta di rimborso della quota del 25% il proprietario al 25% avrebbe titolo non solo per non firmare il rogito di vendita ma di essere titolato ad azioni legali difensive nei confronti della controparte.

Chiaramente questa soluzione della scrittura privata (mentre tutti i contratti sono atti, le scritture private possono essere atti e non tutte le scritture private devono essere registrate. A seconda della forma possono essere registrate in caso d'uso) oltre a non essere opponibile a terzi (ma non era questo lo scopo) non sarebbe probante ai fini di un eventuale riallineamento delle quote di proprietà (ma anche questo non era lo scopo) resso i pubblici registri se non attraverso una sentenza (anche in questo caso ci sono forme differenti per agire).

Non si configurerebbe l'ipotesi di donazione (diretta o indiretta di denaro o di quote di proprietà) in quanto elemento estraneo sia al rogito e agli atti esterni alla coppia sia agli atti interni alla coppia.

kurt
 

desmo

Membro Attivo
Agente Immobiliare
ho capito, in pratica tu inquadri questo ribilanciamento dell'apporto monetario, in caso di bisogno, con scrittura non registrata che non contraddica nulla della suddivisione delle quote di proprietá in atto (che quindi resterebbero tali e quali) ma delineante una sorta di prestito, da restituire nel caso in cui..

Soluzione da utilizzare secondo me con perizia, e solo dove il risparmio in termini di imposte si riveli effettivamente tale da giustificarla, ma molto elegante.. :ok:
 

Gratis per sempre!

  • > Crea Discussioni e poni quesiti
  • > Trova Consigli e Suggerimenti
  • > Elimina la Pubblicità!
  • > Informarti sulle ultime Novità
Alto