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Nonostante l'uso di una caparra penitenziale e un termine stabilito entro il quale arrivare al rogito, la parte inadempiente ha il diritto di richiedere indietro la caparra e di farsi riconoscere addirittura il danno per lucro cessante...

Ma poi cosa vuol dire: "perduta l'utilità economica del contratto"???


 Tribunale di Roma - Sentenza 1 aprile 2016, n. 6608

Preliminare, parti vincolate senza scadenza

Non basta inserire nel preliminare la dicitura «entro e non oltre», perché la data fissata sia considerata termine essenziale per adempiere.

Parti vincolate
, dunque, anche a termini scaduti, a meno che non ne risulti l’inequivocabile volontà «di ritenere perduta l’utilità economica del contratto» concluso oltre il giorno indicato.

A marcarlo, è il Tribunale di Roma con sentenza n. 6608 depositata il 1° aprile scorso. Protagonisti, un’immobiliare e la proprietaria di un terreno, vincolatasi, con regolare preliminare, e incassati 15mila euro a titolo di caparra penitenziale, a vendere l’appezzamento agricolo alla società. Alla promessa, però, non seguì alcun rogito: la donna, disattesi gli impegni, aveva alienato il bene a un privato.

Di qui, la richiesta della Srl (che, intanto, aveva mutato nome) di riavere l’acconto ed essere risarcita del danno da lucro cessante, inteso come differenza tra prezzo d’acquisto pattuito e maggior valore acquisito dall’immobile. Ma la signora si difende, sostenendo che dalla stipula del preliminare non aveva più avuto contatti con la società, che non era riuscita neppure a rintracciare, visto il cambio di denominazione. Ad ogni modo, scaduto il termine stabilito per la sottoscrizione del rogito, il contratto era ormai da ritenersi inutile per ambo le parti. Tesi bocciata dal Tribunale. Il termine per l’adempimento – afferma – può «essere ritenuto essenziale» (articolo 1457 Codice civile) solo se all’esito di indagine «da condurre alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo».

Ebbene, una tale volontà – spiega il giudice, richiamando Cassazione 3645/07 – non può desumersi solo dall’uso dell’espressione «entro e non oltre», quando «non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti» che queste abbiano voluto ritenere persa tale utilità, in caso di negozio concluso oltre la data fissata (ipotesi ben diversa da quella processuale). Non solo. Per sciogliere un preliminare relativo a un immobile, sarebbe stata necessaria la forma scritta. Nel caso di contratti formali, poi, come lo è il preliminare di compravendita di immobili, le cause modificative o estintive del rapporto «debbono risultare da fattori prestabiliti dalle parti nello stesso contratto e debbono essere, comunque, espresse nella forma richiesta per il contratto al quale si riferiscono».

Sia l’accordo solutorio che la dichiarazione di recesso, pertanto, andavano messe nero su bianco. Più che logica la decisione del giudice romano di dichiarare l’inadempienza della convenuta, defunta nelle more del giudizio, agli obblighi assunti con preliminare e condannarne l’erede a restituire alla Srl la caparra versata all’atto della promessa. Riconosciuto, inoltre, anche il diritto dell’immobiliare al risarcimento del danno da lucro cessante.

(Selene Pascasi, Il Sole24ORE – Quotidiano del Diritto, 21 aprile 2016)
 

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