roberto.spalti

Membro Senior
Agente Immobiliare
Ho fatto un preliminare giusto domenica dove sono intervenuti 4 eredi su 6 (gli altri sono d'accordo per vendere ma abitano lontano) il legale dell'acquirente nnon ha avuto nulla da obbiettare.

Seroli perché dici che se io firmo anche per le quote degli altri non rientro nella vendita di bene altrui?
Allora quando si configura secondo te questo tipo di vendita?
Oppure non si applica agli immobili?
 

Seroli

Membro Senior
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Ho fatto un preliminare giusto domenica dove sono intervenuti 4 eredi su 6 (gli altri sono d'accordo per vendere ma abitano lontano) il legale dell'acquirente nnon ha avuto nulla da obbiettare.

Seroli perché dici che se io firmo anche per le quote degli altri non rientro nella vendita di bene altrui?
Allora quando si configura secondo te questo tipo di vendita?
Oppure non si applica agli immobili?

nono, pensandoci hai ragione, il mio dubbio era se applicabile quell'art. alle compravendite immobiliari.......non mi sono mai posto il problema.....per cui ci sta' che tu abbia ragione te......
 

Umberto Granducato

Fondatore
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io quoto Roberto ... ho venduto un immobile con l''accettazione di tre eredi su 12 ... è pure vero che mi ero sincerata prima che fossero tutti d'accordo telefonando personalmente .. abitavano quasi tutti in città diverse ... però è andato tutto liscio ... cmq se ne si ha la possibilità, meglio far firmare tutti! per sicurezza ...

Vale credo che sia stato un azzardo. Non è possibile fare una vendita cosi, senza le procure

Aggiunto dopo 3 minuti :

Originariamente Scritto da roberto.spalti
Ho fatto un preliminare giusto domenica dove sono intervenuti 4 eredi su 6 (gli altri sono d'accordo per vendere ma abitano lontano) il legale dell'acquirente nnon ha avuto nulla da obbiettare.
Seroli perché dici che se io firmo anche per le quote degli altri non rientro nella vendita di bene altrui?
Allora quando si configura secondo te questo tipo di vendita?
Oppure non si applica agli immobili?

nono, pensandoci hai ragione, il mio dubbio era se applicabile quell'art. alle compravendite immobiliari.......non mi sono mai posto il problema.....per cui ci sta' che tu abbia ragione te......

Secondo me la vendita di cosa altrui è un'altra cosa (si applica comunque anche alle compravendite immobiliari).
Con la vendita di cosa altrui io vendo un immobile che non è attualmente mio, ma l'assenso del proprietario devo averlo al preliminare. La differenza da una vendita 'normale' è che gli obblighi il proprietario attuale li ha con me e non col promissario acquirente.
 

Bagudi

Fondatore
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Agente Immobiliare
Io posso dire che in tutte le compravendite in cui i proprietari erano degli eredi, il notaio li ha voluti presenti tutti, personalmente o per procura.

Ho anche seguito anni fa una vendita in cui, tra 4 proprietari, uno si è rifiutato di accettare la proposta e la vendita è saltata.

Silvana
 

roberto.spalti

Membro Senior
Agente Immobiliare
Silvana non confondiamo il rogito con una preliminare.
Al rogito certo che ci devono essere tutti, o fisicamente o per procura, viene trasferita la proprietà.
Al preliminare che è un contratto ad effetti obbligatori io (coerede) mi impergno a venderti la mia quaota di proprietà, unitamente a quella degli altri (quindi vendita di cosa altrui); se al rogito non sono in grado di adempiere perché il coerede non firmatario non si presenta (ma non è inadempeinte lui bensì io) la vendita non si perfeziona e io sono tenuto al risarcimento del danno (perché inadempiente).

Umberto, tu dici:
Con la vendita di cosa altrui io vendo un immobile che non è attualmente mio, ma l'assenso del proprietario devo averlo al preliminare. La differenza da una vendita 'normale' è che gli obblighi il proprietario attuale li ha con me e non col promissario acquirente.
In una vendita di cosa altrui il proprietario della cosa non ha NESSUN obbligo, è il promittente la vendita che si obbliga nei confronti del promittente l'acquisto; se il proprietario non vende non è responsabile di nulla, l'unico responsabile è colui che, con un contratto, si è obbligato a vendere una cosa che non aveva la certezza di poter vendere.
 

Umberto Granducato

Fondatore
Membro dello Staff
Agente Immobiliare
In una vendita di cosa altrui il proprietario della cosa non ha NESSUN obbligo, è il promittente la vendita che si obbliga nei confronti del promittente l'acquisto; se il proprietario non vende non è responsabile di nulla, l'unico responsabile è colui che, con un contratto, si è obbligato a vendere una cosa che non aveva la certezza di poter vendere.

Vero, ma per vendere la cosa altrui devo avere anche il consenso del proprietario a preliminare. Non posso firmare io solo.
Per quello che mi ricordo (ma potrei sbagliare) io posso vendere una cosa che non è ancora mia, ma col consenso del proprietario, non posso vendere una cosa che non è mia firmando io solo....
Se francesca passa da queste parti... mi potrà chiarire ulteriormente le idee... ;)
 
O

Oris

Ospite
Una possibile fonte:
Aspiranti Uditori

Contratto preliminare di vendita di cosa altrui - osservatorio giurisprudenziale
a cura di
Giuseppe Sepe

Premessa

La figura della pattuizione preliminare - nelle molteplici forme che l'autonomia contrattuale è venuta progressivamente elaborando - trova il campo d’elezione nel settore dei contratti ad effetti reali, segnatamente della compravendita immobiliare, di cui la vendita di cosa altrui rappresenta un’ipotesi specifica.

In questa rassegna delle principali sentenze rese in tema di contratto preliminare di compravendita di cosa altrui e parzialmente altrui, saranno esaminate, in maniera schematica, alcune delicate questioni che hanno a lungo impegnato la giurisprudenza non meno che la dottrina e che sembra opportuno elencare di seguito per la migliore comprensione delle stesse:

Il contratto preliminare di vendita di cosa altrui e sua struttura - in particolare: contratto definitivo stipulato direttamente tra promissario acquirente e terzo proprietario - esperibilità dell'azione di risoluzione ex art. 1479 c.c. - esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. (condizioni della) - in particolare: esecuzione parziale ex 2932 c.c. e riduzione del prezzo.

1. Contratto preliminare di vendita di cosa altrui - Struttura.
Il contratto preliminare di vendita di cosa altrui – la cui ammissibilità è da ritenersi ormai pacifica - può presentarsi, in thesi, almeno sotto due diverse forme:
  1. Contratto con cui le parti si impegnano a stipulare, in futuro, un contratto definitivo di vendita di cosa altrui, ad effetti obbligatori.
  2. Contratto con cui il promittente alienante si impegni, nei confronti del promissario acquirente, a fargli acquistare, già all’atto della stipulazione definitiva, la proprietà del bene oggetto di pattuizione.
Nella prima evenienza, al preliminare segue un contratto definitivo pure esso ad effetti obbligatori, configurandosi come un contratto di vendita di cosa altrui, in cui l'alientante si obbliga ad acquistare la proprietà del bene dal terzo. Una volta che l'alienante abbia acquistato la proprietà del bene, questa si trasferisce automaticamente in capo all'acquirente (art 1478 2 comma c.c.).

Nella seconda ipotesi, invece, il meccanismo operativo del preliminare è congegnato in modo che il promittente venditore si obblighi non tanto a stipulare il contratto definitivo di vendita di cosa altrui ma a procurare senz'altro al promissario acquirente la proprietà del bene. Allo scopo, il promittente venditore ha due possibilità:

  1. acquistare direttamente la proprietà dal terzo per venderla poi, in sede di definitivo (immediatamente traslativo), al promissario acquirente;
  2. indurre il terzo a vendere direttamente al promissario acquirente.

E' importante avvertire sin d'ora che l'evenienza sub 2 è generalizzata dalla più recente giurisprudenza, fatta salva l’eventuale contraria pattuizione dei contraenti. Si confronti Cassazione n. 1052/1986: "Costituisce principio pacifico per la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione quello secondo cui quando il preliminare di compravendita abbia per oggetto una cosa di un terzo, l'obbligo di trasferire la proprieta' di essa al promissario puo' essere adempiuto non solo mediante l'acquisto del bene da parte del promittente alienante e il suo successivo trasferimento da quest'ultimo al compratore, ma anche inducendo il vero proprietario a prestare il suo consenso alla cessione della proprieta' del bene stesso all'acquirente (Cass. nn. 984 del 1998, 2398 del 1986, 1052 del 1986, 960 del 1986, 3963 del 1984, 1727 del 1981, 4037, 3134 e 1116 del 1980).
E' bene chiarire, altresì, che secondo un’acuta prospettazione dottrinale (GAZZONI), nell'evenienza sub 2 il contratto preliminare di cosa altrui assume una fisionomia tutta particolare, poiché in capo al promittente alienante non nasce un semplice obbligo di praestare il consenso, quanto, piuttosto, un obbligo di dare. Secondo quest'impostazione, dunque, il contratto definitivo assumerebbe la natura di pagamento traslativo con funzione solutoria di una precedente obbligazione; anzi, in prospettiva ancora più avanzata, si sostiene che il preliminare di compravendita sarebbe una vendita obbligatoria, vincolando il promittente alienante a far acquistare al promissario acquirente la proprietà della cosa o del diritto (art. 1476 c.c).

2. In particolare: contratto definitivo stipulato direttamente tra promissario acquirente e terzo proprietario.
Nell'ipotesi in cui il promittente assuma l'obbligo di favorire la stipulazione del definitivo di vendita tra il reale proprietario e il promissario acquirente (ipotesi b), "è sempre necessario che la vendita diretta abbia luogo in conseguenza di un’attività (materiale o giuridica) svolta dallo stesso venditore nell'ambito dei suoi rapporti col terzo proprietario, e che quest'ultimo manifesti in forma chiara ed inequivoca la propria volontà di vendere il bene di sua proprietà al compratore: solo in tal modo si realizza, con l'effetto traslativo del diritto, quel risultato che il compratore intendeva conseguire e che il venditore si era obbligato a procurargli" (Cass. n. 384 del 1998, 960 del 1986, 1116 del 1980).
"In definitiva, nell'ipotesi di un contratto preliminare di vendita di cosa altrui, nulla vieta che il terzo proprietario della cosa possa intervenire in sede di stipulazione del contratto definitivo e manifestare la propria volontà di alienare il bene di sua proprietà direttamente al compratore." (Cass n. 960 del 1986). Ma qualora il terzo abbia agito autonomamente, non potrebbe dirsi adempiuta l'obbligazione assunta dal promittente venditore.
Se, inoltre, il promissario acquirente non fosse a conoscenza, in sede di stipula del preliminare, che il bene apparteneva a un terzo, "egli non può essere obbligato alla stipulazione diretta con il terzo proprietario." (Cass. nn. 3058 del 1973, 8434 del 1995).
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, peraltro, il terzo che interviene in sede di stipula del contratto definitivo non acquista la qualifica di parte contrattuale, dovendosi ritenere che il contratto traslativo della proprietà intercorra comunque tra le parti originarie del preliminare; "la qualifica di venditore va riconosciuta pur sempre al promittente alienante sul quale ricadono, di conseguenza, le obbligazioni connesse a tale qualità, compresa quella relativa alla garanzia per evizione" (Cass nn. 3054 del 1973, 609 del 1980, 3963 del 1984).
In contrario avviso all'orientamento testé riportato si pone, ancorché isolatamente, Cass n. 2091 del 1999, secondo cui qualora il promissario acquirente sia ignaro dell'alienità del bene oggetto del preliminare e addiviene alla stipula del definitivo senza neppure pretendere l'intervento in esso del promittente, il contratto stipulato col terzo proprietario diventa l'unica fonte negoziale, azzerando gli obblighi assunti dal promittente alienante, il quale ultimo non può essere chiamato a rispondere dei vizi o pesi gravanti sul bene.

3. Contratto preliminare di vendita di cosa altrui e risoluzione ex art. 1479 c.c.
In tema di vendita di cosa altrui deve distinguersi tra l'ipotesi "fisiologica" (art 1478 c.c.) in cui il compratore sia consapevole dell'alienità del bene e l'ipotesi "patologica" (art. 1479 c.c.) in cui, all'opposto, difetti nel compratore la consapevolezza circa l'appartenenza del bene a un terzo.
Nel primo caso, in cui entrambe le parti sono consapevoli dell'alienità della cosa, può dirsi che il contratto mira a produrre effetti reali differiti, al momento in cui il venditore acquista la proprietà del bene dal terzo. In tale momento il compratore diviene automaticamente proprietario (art.1478 2 comma c.c.). L’eventuale azione di risoluzione è condizionata al fatto che il venditore non abbia fatto acquistare la proprietà del bene al compratore, nel termine previsto dal contratto.
Nell'ipotesi patologica di cui al 1479 c.c., invece, la legge consente al compratore ignaro della alienità del bene di esercitare immediatamente l’azione di risoluzione del vincolo contrattuale.
La facoltà del compratore di buona fede di risolvere il contratto illico et immediate si giustifica, già sul piano logico, in quanto nella fattispecie de quo gli effetti reali non si producono nel momento in cui il contratto è concluso (in contrasto col principio del cd. consenso traslativo di cui all’art 1376 c.c.) a causa del difetto della proprietà in capo al venditore, circostanza ignorata dal compratore in buona fede. A parte la questione se il mancato prodursi degli effetti traslativi debba intendersi in termini di inadempimento del contratto oppure invece come un caso di invalidità contrattuale, sta di fatto che l’art. 1479 c.c. appresta un’efficace tutela del compratore in buona fede e ignaro in ordine all’altruità del bene, accordandogli il diritto di far "cadere" il contratto, salvo che, nel frattempo, il venditore gli abbia fatto acquistare la proprietà del bene dedotto in obbligazione.
Per costante interpretazione giurisprudenziale, si ammette l'applicabilità al contratto preliminare di vendita di cosa altrui del rimedio scolpito dall'art. 1479 c.c. a favore del compratore di buona fede (ignaro dell'altruità del bene), il quale può chiedere l'immediata risoluzione del contratto salvo che il venditore, nel frattempo, gliene abbia fatto acquistare la proprietà (Cass. 1727/1981, Cass. Sez Unite n. 1676 del 1982, Cass n. 960 del 1986 cit.).
A questa soluzione si oppone, peraltro, un diverso filone interpretativo, che sembra preferibile.
Tale indirizzo contesta l'equiparazione fra la posizione dell'acquirente e quella del promissario acquirente di cosa altrui, assumendo che: "il principio affermato in ordine alla immediata esperibilità dell'azione di risoluzione contrattuale ex art. 1479 c.c., è riferibile esclusivamente alla vendita, ed è inapplicabile alla promessa di vendita". (Cass. nn. 3134 del 1980, 1149 del 1993).
Da ultimo, Cass 925 del 1997, aderendo a tale indirizzo, argomenta che la ratio che informa l'art 1479 c.c in tema di vendita sta nella tutela dell'interesse del compratore all'acquisto della proprietà, cioè alla realizzazione degli effetti traslativi del contratto. Invero, come si è detto in precedenza, il contratto di cui all'art 1479 c.c. dovrebbe essere un normale contratto ad effetti reali, se non fosse che il venditore non dispone della proprietà del bene. In tale frangente, il venditore non è in condizione di consentire che l'acquirente - ignaro dell'alienità del bene – consegua gli effetti reali del contratto. Detto in altre parole, il venditore risulta inadempiente per difetto di legittimazione a disporre, giustificandosi pertanto l'esercizio dell'azione di risoluzione da parte del compratore di buona fede (salvo che, frattanto il venditore non gli abbia trasferito il bene - 1479 2 comma).
La medesima ratio non ricorre, invece, nel caso del contratto preliminare di vendita di cosa altrui. In tale ipotesi, invero, data la natura obbligatoria del preliminare, alla sua conclusione non seguono effetti traslativi, e di inadempimento del promittente può parlarsi solo al momento della conclusione del definitivo, in quanto è in tale momento che il venditore deve essere in grado di far conseguire l'acquisto della proprietà alla controparte.
Si conclude, pertanto, nel senso che il promissario acquirente, consapevole o meno dell'alienità del bene, può rifiutare la stipula del definitivo e chiedere la risoluzione del contratto preliminare, soltanto nel caso in cui, alla scadenza del termine fissato per la stipula del definitivo, il promittente venditore non gli abbia procurato l'acquisto della proprietà. Fino alla scadenza del termine, infatti, il promittente venditore ha la possibilità di adempiere all'obbligo di procurare alla controparte l'acquisto della proprietà del bene.
Del resto, si osserva, la soluzione in concreto adottata dalla giurisprudenza si concilia con il profilo funzionale del preliminare, da individuarsi, secondo le indicazioni provenienti da autorevole dottrina, confortata sul punto dalla giurisprudenza, nella funzione di "controllo delle sopravvenienze", ossia nell'esigenza di differire la vicenda traslativa finale per verificare, tramite gli opportuni controlli, la futura convenienza della stipulazione. Sembra dunque in sintonia con la delineata funzione del contratto preliminare, la scelta di negare al promissario acquirente il rimedio della risoluzione ex art. 1479 c.c., almeno sino alla scadenza del termine previsto per la stipula del definitivo.

4. Esperibilità dell'esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.
E’noto che di fronte all’inadempimento del contratto preliminare il promissario acquirente può ottenere dal giudice una sentenza costitutiva ex art 2932 c.c che sostituisca gli effetti del contratto non concluso.
In caso di preliminare di vendita di cosa altrui, peraltro, tale principio va coordinato con la circostanza che al momento dell’inadempimento il promittente venditore potrebbe non avere acquistato la proprietà del bene dal terzo. In tali ipotesi, alcune decisioni della Corte di legittimità escludono la possibilità di esperire il rimedio dell’esecuzione in forma specifica, assumendo che in tal caso "l'alienità dei beni promessi in vendita costituisce un limite invalicabile al diretto trasferimento del diritto dominicale dal promittente venditore, in quanto non proprietario dei beni, al promissario acquirente." (Cass. n 11637/91, 5137/81). In altre pronuncie, la giurisprudenza afferma inoltre che la sentenza di cui all’art 2932 cc. sarebbe destinata a sostituire unicamente atti ad efficacia traslativa e non già ad efficacia meramente obbligatoria, come sarebbe il contratto definitivo di vendita di cosa altrui. (Trib. Monza, 26/5/1987).
Più di recente la suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di modificare la propria posizione, riconoscendo come sia "del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che le condizioni o presupposti della azione non debbono necessariamente ricorrere al momento della domanda, essendo sufficiente che vi siano alla data della sentenza". Non è, dunque, al momento della proposizione della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. che occorre verificare la titolarità della proprietà del bene in capo al promittente alienante, quanto piuttosto al momento dell’emanazione della sentenza. (Cass. n. 51 del 1996).
Inoltre, nell’ipotesi (di rara verificazione, come si è detto in precedenza) in cui il contratto definitivo sia stato concepito dalle parti come stipulazione non direttamente traslativa della proprietà, bensì come vendita di cosa altrui (pertanto ad effetti obbligatori) è teoricamente possibile che, di fronte al rifiuto del promittente alienante di stipulare il definitivo, il promissario acquirente possa ottenere la sentenza costitutiva ex 2932 c.c. indipendentemente dal fatto se il promittente sia o meno diventato proprietario. Ad onta di opinioni contrarie, si ritiene che la sentenza di cui all’art 2932 c.c. possa essere pronunciata anche se non "si tratti di contratti che hanno ad oggetto la proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto" e dunque anche nel caso di contratto definitivo ad effetti puramente obbligatori.

5. In particolare : esecuzione parziale ex art. 2932 c.c. e riduzione del prezzo.
Infine, merita di essere affrontato il rilevante problema se, in un contratto preliminare di vendita avente a oggetto una cosa parzialmente altrui, possa riconoscersi al promissario acquirente, in caso di inadempimento del preliminare, la tutela dell'esecuzione in forma specifica cd. parziale ex art. 2932 c.c. con contestuale esercizio dell’ "actio quanti minoris".
L'ipotesi ricorrente è quella di un contratto preliminare di vendita di bene immobile, considerato nella sua interezza, stipulato da alcuni soltanto dei proprietari in comunione pro indiviso. Nell'evenienza che, a causa della mancata prestazione del consenso da parte degli altri comproprietari estranei alla pattuizione preliminare, risulti impossibile procedere alla stipulazione del definitivo - non potendosi trasferire la proprietà dell'intera res - ci si chiede se al promissario acquirente possa riconoscersi la facoltà di ottenere l’esecuzione in forma specifica parziale dell'obbligo di concludere il contratto definitivo, chiedendo contestualmente e cumulativamente la riduzione del prezzo ex art. 1480 c.c. (la stessa problematica vale nell'ipotesi in cui il consenso sia stato invalidamente prestato da alcuno dei comproprietari o sia stato prestato per essi da un falsus procurator).
In altre parole, può il promissario acquirente ottenere una pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c. al fine di ottenere il trasferimento della proprieta' del bene limitatamente alla quota dei promittenti venditori che si sono impegnati con il preliminare? E contestualmente, può richiedere ex art. 1480 c.c. un prezzo inferiore a quello pattuito? (cd. actio quanti minoris).
Secondo un insegnamento della Cassazione - espresso in numerose pronunce - la sentenza ex art. 2932 c. c., sostituendo il contratto che le parti avrebbero dovuto tradurre in documento scritto, non può avere un contenuto diverso da quello della promessa, restando così inibito al giudice di introdurre modifiche all’assetto di interessi convenzionalmente assunto dalle parti. Il principio che emerge da tale orientamento - cd. principio dell’ "intangibilità del contenuto del contratto preliminare" - escluderebbe pertanto che il promissario acquirente possa ottenere una sentenza ex 2932 c.c. relativamente alla sola quota di proprietà del comunista promittente. (Cass.. nn. 3250 del 62, 4081 del 1968, 222 del 1973, 1224 del 1979, 5922 del 1979, 822 del 1983, 7749 del 1990, n. 11637 del 1991, 1219 del 1993).
Un opposto indirizzo della Suprema Corte, tra cui spicca Cass n. 6029 del 1988, ammette che quando la promessa vendita abbia per oggetto una cosa che risulti poi di estensione minore di quella pattuita, per essere la rimanente parte di proprietà di un terzo, il promissario acquirente può esperire l'azione ex art. 2932 relativamente alla sola quota di proprietà del promittente e ottenere contestualmente la riduzione del prezzo pattuito. A giustificare l'innovativa soluzione - che di fatto stravolge l'anzidetto principio della intangibilità del contenuto del preliminare - la Corte di legittimità osserva che: "la vendita che sia predisposta per la partecipazione di più comproprietari, ma venga stipulata da uno solo di essi, restando incompleta […] deve considerarsi inefficace per l'intera res; trattandosi, tuttavia, di inefficacia relativa che può essere fatta valere soltanto dal promissario acquirente, quale esclusivo titolare dell'interesse all'acquisto dell'intero immobile, deve riconoscersi a quest'ultimo la facoltà di chiedere l'esecuzione del contratto in relazione alla quota del comproprietario intervenuto validamente, senza che questi possa opporsi, non avendo egli un interesse apprezzabile a che la cosa indivisa sia venduta per intero, tranne che nel preliminare non vi sia un’espressa clausola che condizioni la sua efficacia al consenso di tutti i comproprietari".
Si afferma inoltre che una pronuncia del giudice, che tenga luogo del contratto non concluso, fissando un prezzo inferiore a quello pattuito con il preliminare, configura un "legittimo intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni, rivolto ad assicurare che l'interesse del promissario alla sostanziale conservazione degli impegni assunti non sia eluso da fatti ascrivibili al promittente." (Cass. nn. 2457 del 1981, 1741 del 1986, 6029 del 1988, 2749 del 1989, 7744 del 1992).
In prosieguo di tempo, la Cassazione ritorna sui suoi passi per riconfermare la validità del "dogma" della intangibilità del contenuto del contratto preliminare. La corte precisa che: "in omaggio al principio di autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.), il giudice, chiamato a dirimere una controversia insorta in ordine al negozio, non puo', con la propria pronuncia, delineare un contratto che si differenzi, sia pure marginalmente, da quello scaturito dall'incontro della volonta' delle parti. Poiché l'effetto da realizzare mediante la sentenza del giudice ex art. 2932 deve essere esattamente quello previsto e voluto dalle parti nel preliminare, si esclude che il promissario acquirente possa ottenere il trasferimento in proprietà della quota appartenente all'alienante, in uno con la riduzione del prezzo". (Cass. n. 1219 del 1993).
Una tesi "mediana" è sostenuta da Cass. 9749 del 1991, secondo cui deve essere dimostrato in concreto che il promittente alienante abbia o non abbia interesse a vendere il bene congiutamente glia altri, e "…non può essere elevato a regola generale il principio secondo cui il comproprietario che sottoscrive un contratto di vendita di un immobile unitariamente considerato, in assenza degli altri comproprietari, esprime implicitamente la volonta' di vendere la propria quota e non ha interesse ad eccepire il mancato perfezionamento del negozio. Si tratta, invece, di un semplice criterio di massima, che deve essere verificato e controllato nei singoli casi"…"non vi e' dubbio, infatti, che il singolo comproprietario possa avere interesse a vendere il bene solo congiuntamente agli altri aventi diritto (specialmente se questi sono stretti parenti o persone alle quali comunque non vuole recare danno…."
A comporre il conflitto di decisioni determinatosi in materia, intervengono, nel 1993, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 7481, il cui lungo e meditato decisum risolve in senso negativo il "dilemma", in tal modo ripristinando la validità dello scalfito principio di intangibilità del contenuto del contratto preliminare. Afferma la Corte: "Nel caso in cui, con riferimento alla vendita di un bene in comunione, il consenso non sia stato manifestato da tutti i comproprietari, o sia stato validamente manifestato da alcuni soltanto di essi, non di inefficacia, ma di inesistenza (per mancato perfezionamento del suo iter formativo) o di invalidita' del contratto si dovra' parlare, non essendosi formato (o non essendo stato validamente manifestato) il consenso di una delle parti."
"Quando, infatti, l'oggetto di una promessa di vendita sia un bene in comunione, di regola le parti considerano tale bene come un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote che fanno capo ai singoli comproprietari e correlativamente questi ultimi costituiscono un’unica parte complessa, per cui le loro dichiarazioni di volontà di voler promettere in vendita non hanno autonomia, ma si fondono in un'unica volontà negoziale (quella della parte promittente venditrice). Ne consegue che quando una di tali dichiarazioni manchi (o sia invalida) non si forma (o si forma invalidamente) la volontà di una delle parti del contratto preliminare, il quale non viene ad esistenza (o è nullo)."
L'impossibilità per il promissario acquirente di ottenere la cd. esecuzione parziale, quindi, non discende - come sostenuto in precedenza dall’orientamento restrittivo- dal principio di intangibilità del contenuto del preliminare quanto, piuttosto, dalla circostanza che il contratto non si è concluso o si è invalidamente concluso.
"Naturalmente" aggiunge la Corte "nulla esclude che un documento sia formulato in modo tale che risulti in esso la riproduzione di più contratti preliminari in base ai quali ognuno dei comproprietari si impegna esclusivamente a vendere la propria quota al promissario acquirente: in tal caso, a meno della previsione di una condizione (risolutiva o sospensiva) o della ricorrenza di una ipotesi di collegamento negoziale, la mancata conclusione (o la eventuale invalidità) di uno dei contratti non si ripercuoterà sugli altri per cui il promissario acquirente potrà pretendere la stipulazione del contratto definitivo dai comproprietari stipulanti relativamente alle quote di cui gli stessi sono titolari. […] In tale ipotesi, non si potrà parlare di esecuzione parziale di un unico contratto, ma di esecuzione di una parte dei distinti contratti contenuti in un unico documento".
In presenza di un documento predisposto per la vendita di un bene comune per intero, occorre stabilire se esso contenga un unico contratto (con una parte soggettivamente complessa) o se, invece, contenga più negozi ognuno dei quali ha ad oggetto una quota del bene. Nel primo caso (che le Sezioni Unite intendono come regola generale), il contratto è nullo o inesistente; nel secondo caso, invece, il promissario acquirente può ottenere l'esecuzione in forma specifica in relazione ai singoli contratti validamente stipulati.
(Cass Sezioni Unite n. 7481 del 1993, conf. Cass 1680 del 1995, 9137 del 1995, 6330 del 1995, 10367 del 1997, 12338 del 1997).
Per concludere, va detto che il principio affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui "di norma le parti considerano il bene in comunione come un unicum inscindibile" non è stato accolto con favore dalla più attenta dottrina (MASUCCI, PARDOLESI, SCODITTI), la quale, manifestando numerosi dubbi e perplessità, ha in sostanza fatto rilevare come l’analisi della volontà delle parti dovrebbe essere lasciata alla accorta interpretazione del giudice, non potendosi elevare a regola generale ciò che concretamente dovrebbe essere indagato caso per caso. Inoltre, la ritenuta nullità o inesistenza del vincolo originato da un preliminare stipulato da alcuni soltanto dei proprietari del bene comune finisce per penalizzare esclusivamente la parte acquirente, la quale sarebbe esposta a soccombere anche di fronte ad eventuali comportamenti "maliziosi" dei promittenti venditori, che avrebbero buon gioco nel sottrarsi deliberatamente, ancorché scorrettamente, agli obblighi contrattuali in caso di sopravvenuta riduzione della convenienza dell’affare.
 
S

smoker

Ospite
Non puoi vendere una cosa che non è tua, ma puoi promettere di vendere una cosa che non è tua, quindi concordo con quando già detto da Roberto. Ovvio che, se nel termine stabilito per il contratto definitivo, Tu promittente venditore, non riuscirai a far trasferire il bene al promissario acquirente saranno dolori.

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